La maggioranza degli economisti concorda sul fatto che la partecipazione dei rifugiati al mercato del lavoro è un fattore positivo per l’economia e per l’integrazione. Purtroppo, il governo tedesco ha ammesso che questa prospettiva si è rivelata più lontana del previsto. Secondo il commissario all’Integrazione del governo di Berlino, Aydan Özoğuz, in cinque anni solo un quarto dei rifugiati avrà la possibilità di trovare un lavoro in Germania; a mancare nella maggioranza dei casi sarebbero le qualifiche linguistiche e di studio necessarie a trovare lavoro.
Il commissario, appartenente al partito socialista, lo ha raccontato in un’intervista rilasciata al Financial Times. “Per molti altri [rifugiati] saranno necessari fino a 10 anni” per trovare un impiego dice Özoğuz, sfatando, da un lato, il mito che avrebbe dipinto Berlino come un’astuta importatrice di laureati a basso costo, ma anche quello di un’integrazione che si sarebbe rivelata facile, dato il (presunto) alto livello d’istruzione dei nuovi arrivati.
Un recente report dell’Istituto per la ricerca sull’occupazione (Iab) ha calcolato che solo il 23% dei siriani arrivati in Germania dispongono di una laurea. Al momento, rivelano i dati dell’Agenzia federale del lavoro, solo il 17% dei rifugiati ha un lavoro, mentre 484.000 lo stanno cercando.
L’istituto Ifo di Monaco ha notato lievi miglioramenti delle prospettive in tal senso: il 22% delle società tedesche ha assunto un rifugiato contro il 7% del 2015; ciò, però, è avvenuto per posizioni scarsamente specializzate e con contratti di stage, solo l’8% dei profughi è stato assunto in qualità di lavoratore qualificato.
Nonostante non occupi più le prime pagine, riporta il Ft, la questione della crisi dei migranti resta fra le preoccupazioni maggiori per gli elettori tedeschi in vista delle prossime elezioni federali. Dall’inizio del 2015 sono entrati nel Paese 1,3 milioni di migranti. Sin dai primi mesi della crisi avevamo messo l’accento sull’importanza di coinvolgere il più presto possibile i migranti nel mercato del lavoro, pur ricordando i limiti oggettivi cui si era innanzi.