Un ex magistrato come Raffaele CANTONE, attuale dirigente dell’Autorità nazionale anti corruzione qualcosa lo ha detto quasi subito: “I criteri utilizzati per la gestione dei 16 milioni di euro dal Tribunale di Milano presentano aspetti poco chiari e scarsa trasparenza nell’assegnazione degli appalti”.
Adesso, ci sono tre esponenti del Consiglio Superiore della Magistratura che chiedono di “aprire un fascicolo” per valutare eventuali profili di responsabilità nell’ambito della utilizzazione di tali ingenti spese, impiegate dal Tribunale di Milano, nel quadro dell’adeguamento anche tecnologico dei principi organizzativi previsti per il processo civile telematico di cui alla risoluzione consiliare del 13 maggio 2015, nonché la verifica della regolare gestione dei fondi pubblici utilizzati per l’implementazione di specifici progetti organizzativi.
Cose grosse, mi verrebbe da dire!
Tale Giovanni CANZIO, designato a prendere l’importante decisione, sia pure insieme a qualche altro, deve decidere circa l’opportunità di procedere a queste indagini laddove, all’epoca dei fatti da alcuni ritenuti“poco chiari”, guidava la Corte di Appello del Tribunale milanese.
Intanto, per creare un minimo di suspense l’alto magistrato qualcosa lo ha già detto: “Non solo non sappiamo niente di questi contratti ma niente ne vogliamo sapere”.
E poi qualcuno dice che le nostre sentenze non sono sufficientemente chiare: più chiaro di così!
La vicenda, per quanto ancora in stato embrionale mi ricorda quando un quarto di secolo addietro, nel quadro di una indagine di una Procura della Repubblica circa l’operato di un magistrato in Servizio Permanente Effettivo inquisito per “concussione[1]”, laddove chi vi scrive venne interessato e sentito come “persona informata sui fatti – ex artt.351 Codice di procedura penale”, nella mia veste di Ufficiale di polizia giudiziaria Comandante di una Sezione di Polizia tributaria della Guardia di finanza.
Alla fine della giostra, il nostro magistrato, fu’ assolto con questa motivazione: “I fatti di cui è accusato e oggetto di questo giudizio al termine del relativo dibattimento, per quanto deontoligicamente gravi, non sono penalmente rilevanti.”
Lo stesso magistrato, giudicato birichino e assolto dalla grave accusa, ebbe modo di leggersi l’intero fascicolo, ivi compresa la mia “testimonianza” ritenuta a dir poco blasfema e per questo fui denunciato per “calunnia” da cui venni naturalmente e completamente prosciolto dopo un annetto di quarantena!
Avevo unicamente riferito “fatti & circostanze” apprese nel corso di una indagine delegata dall’Autorità giudiziaria.
Della vicenda milanese ne continueremo a parlare, almeno parlare, chissà che qualcosa succede, quando si dice il “prestigio e l’autonomia della magistratura”.
Quando si dice!
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[1] Concussione: Trattasi del reato più grave commesso da un dipendente pubblico nei confronti dell’amministrazione dello Stato