Il grande esperimento monetario del Quantitative easing si avvia a conclusione. Il suo ombrello protettivo ha permesso di sopravvivere anche a società decotte che ora rischiano di saltare
Il percorso di normalizzazione della politica monetaria, con l’uscita di programmi di Quantitative easing (Qe), è stato ormai intrapreso da tutte le principali banche centrali (tranne quella giapponese). Alcune lo hanno fatto, per il momento, solo a parole, altre come la Fed sono già avanti lungo il sentiero di restrizione dei tassi di interesse.
Eoin Murray, responsabile investimenti di Hermes Investment Management avverte che “quando i tassi di interesse inizieranno ad aumentare significativamente, le società che sono state in grado finanziarsi a basso costo ricorrendo al debito si troveranno senza difese. Si tratta di aziende zombie che in un ciclo di tassi normali sarebbero già scomparse. Le banche centrali sono riuscite – involontariamente – a frenare la selezione naturale, fondamentale per un mercato sano, provocando un effetto domino sui flussi di denaro verso nuove imprese. Ma alla fine, l’ordine naturale delle cose prevarrà comunque”.
Gli investitori non sono pronti
A questo cambiamento di scenario gli investitori non sembrano essere pronti.
“Rileviamo – riprende Murray – un preoccupante sviluppo che riguarda il ritorno delle emissioni ‘covenant-lite’ o ‘cov-lite’ sul mercato istituzionale, fattore che rende meno probabile la ripresa da un fallimento”.
I covenant sono clausole vincolanti di tutela dei finanziatori di un’impresa contro il rischio di danni causati da gestioni eccessivamente rischiose dei finanziamenti concessi.
“Se ripensiamo al 2009, circa il 2% dei prestiti emessi era di tipo cov-lite – senza o con minori clausole o collaterali – nel 2010 il dato era salito al 10%, nel 2013 abbiamo osservato un balzo fino al 59% e nel 2016 la cifra è salita al 75%. Essenzialmente, questo significa che ci sono aziende che prendono denaro in prestito senza concedere una debita protezione ai finanziatori, che in realtà dovrebbero invece richiederla. Questo potrebbe rappresentare una potenziale polveriera per i mercati obbligazionari, e senza dubbio una polveriera che ricorda molto la situazione precedente il 2008”.