“Se l’economia è il nostro destino”, per mutuare il pensiero di un filosofo tedesco del quale mi sfugge il nome, oggi possiamo tranquillamente affermare alla luce dei disastri vissuti nell’ultimo quarto di secolo che gli “economisti sono la nostra rovina”.
Esordisco con questo concetto dopo aver letto il pensiero di un economista – Gustavo PIGA – apparso sul Sole 24 Ore di ieri[1] laddove, in risposta all’uscita del Segretario del Partito democratico Matteo RENZI, riguardante la necessità di rottamare il “fiscal compact” e tornare ai parametri del 3% di Mastricht, ha fra l’altro detto: <<… scoprirebbe che gli investimenti pubblici, in questa fase, sono un cannone ben più potente della riduzione delle tasse, perché attivano immediatamente la domanda alle imprese – specie nel settore delle costruzioni – e la loro produttività – con il supporto alla scuola, alla ricerca e allo sviluppo>>.
Il signor PIGA, con tutto il rispetto che si deve ad un economista facente parte di una categoria di intellettuali dell’economia che nella storia non hanno mai azzeccato niente, ci sta dicendo che se i soldi li spende lo Stato è meglio che se li spende l’imprenditore con il rischio d’impresa.
Egregio Signor PIGA, io non so lei dove ha vissuto, ma io, da 64 primavere vivo in questo territorio, un grande Paese, dove gli “investimenti pubblici” hanno sempre fatto acqua o perché “incompiuti” o ancora peggio “inutili”.
Da che mondo è mondo, il benessere e la crescita di un sistema Paese si fonda, in uno Stato di diritto, sulla iniziativa privata e come tale sulla voglia e l’entusiasmo di fare impresa.
Se è vero questo, sarà altrettanto vera la necessità di abbattere significativamente l’onere tributario a carico di queste imprese che, per mera sopravvivenza, ricordo al signor PIGA, sono costrette ad espatriare ovvero a delocalizzare la propria produzione per riuscire a competere e rimanere sul mercato: a rimanere in Italia, soprattutto grazie a questa tassazione con servizi da terzo mondo, “morte certa!”.
Se parte l’impresa – eliminando il rigore del pareggio di bilancio e quindi il trattato del Fiscal compact di cui finanche la Germania sembra che se ne sia accorta – potendo aiutare l’impresa a investire, crescere e creare occupazione abbassando le tasse per come si è detto, anche a deficit cioè aumentando il debito – il sistema Italia potrà esprimere al meglio le proprie attitudini e capacità imprenditoriali che tutto il mondo ci invidia.
All’estero, il “Made in Italy” rappresenta il marchio più contraffatto in assoluto (70%) a livello globale – soprattutto nel campo dell’alimentare, della moda e dei trasporti.
Facendo questo, l’indotto positivo che si determinerà nell’economia nazionale, sarà di tale portata che potrà restituire – addirittura con gli interessi – quel deficit temporaneamente prodotto.
Ricordo infine una bella citazione di un grande filosofo polacco, vissuto in Germania, tale Karl POLANYI: “Non spetta all’economista, ma al moralista e al filosofo, decidere quale tipo di società debba essere ritenuta desiderabile”.
Per concludere, parlando da indigeno, da spettatore interessato che ama questo grande e disgraziato Paese, come un “Ciccillo CACACE” qualunque, penso che per migliorare le nostre sorti dobbiamo fare una cosa molto semplice: “fare esattamente l’opposto di quello che ci propinano gli economisti!”
Intanto, AVANTI TUTTA!
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[1] 11 luglio 2017: “Ma il “fiscal compact” va rivisto