Il 2017 è stato finora un anno interessante per gli investitori. Incoraggiati dal rally degli asset rischiosi alla fine del 2016 scatenato alla vittoria di Donald Trump, gli investitori hanno iniziato l’anno confidando nel fatto che il “Trump reflation rally” sarebbe continuato. Col tempo, però, la fiducia nella capacità della nuova Amministrazione di portare a termine le promesse elettorali è diminuita. A peggiorare la situazione, una serie di dubbi riguardo alla condotta del neo Presidente e dei membri del suo team prima delle elezioni hanno aumentato la possibilità di un potenziale impeachment, sebbene improbabile. A conclusione della prima metà dell’anno, ecco dunque un bilancio su quali sono state le asset class e i mercati migliori in cui investire.
Azionario al primo posto
L’azionario ha vinto il confronto tra asset class, mettendo a segno le performance migliori con rendimenti totali in dollari saliti dell’11,5% YTD. In realtà, è stato l’oro a registrare i maggiori guadagni nel primo trimestre, ma è stato poi danneggiato dal rialzo dei tassi della Fed di marzo. Complessivamente, però, ha avuto un buon anno finora, con un ritorno dell’8,5%. Seguono le obbligazioni high yield globali e i titoli investment grade globali. I Titoli di Stato hanno avuto difficoltà nel primo trimestre, ma lo scemare del “Trump reflation trade” ha aiutato a migliorare le performance. Infine, l’indice Dow Jones/UBS dei prezzi delle materie prime ha registrato le peggiori performance, scendendo dell’8,7% finora, anche a causa del settore energetico.
Dal confronto tra i diversi mercati azionari, emerge che quelli con beta elevati hanno generalmente tratto beneficio dal contesto positivo per la propensione al rischio. Una nota di merito va alla Borsa spagnola, con l’IBEX 35 che ha avuto ritorni pari al 21,8% in dollari, aiutata da un’economia locale più forte e dalla ripresa del commercio mondiale. Bene anche gli azionari emergenti e le altre piazze europee, mentre l’S&P 500 è scivolato in ultima posizione, anche se, viste le preoccupazioni riguardo all’affievolimento del Trump rally, ha avuto un solido risultato, come evidenziato in Figura 1.
Fig.1 Performance dei mercati azionari
Una delle ragioni della sovraperformance dei Mercati Emergenti ed Europei nell’azionario risiede nella debolezza del dollaro, che si è deprezzato del 4,9% quest’anno. Nel frattempo, l’euro si è apprezzato, aiutato da una crescita maggiore e da una prospettiva meno accomodante da parte della BCE. La sterlina inglese sta nel mezzo: è scesa solo dell’1%, una performance non negativa vista la Brexit e l’incertezza sulle elezioni nel corso dell’ultimo anno. Lo Yen giapponese è stato volatile quest’anno, ma complessivamente ha messo a segno un rialzo (+3%), mentre il dollaro australiano, quello canadese e il franco svizzero non hanno registrato sostanziali spostamenti.
Gilt vincenti grazie alla Brexit
Nel mondo obbligazionario, la migliore performance tra i titoli sovrani è stata quella dei Gilt britannici, con un +3,3%, dove l’economia in rallentamento e l’incertezza della Brexit hanno reso gli asset sicuri ancora più attraenti. Anche i T-Bond hanno avuto buone performance, mentre gli OAT francesi e i BTP italiani hanno avuto un pessimo inizio anno, per via dei rischi politici. Infine, anche se più volatili dei titoli di Stato giapponesi, i Bund tedeschi hanno registrato ritorni simili a quelli nipponici. Tra i mercati del credito, quello statunitense ha sovraperformato i mercati Europei facilmente, dato che i rendimenti sono diminuiti bruscamente lo scorso anno, dopo che la BCE ha iniziato ad acquistare obbligazioni corporate tramite il QE.
Petrolio: ribasso prezzi non trascurabile
Anche l’andamento dei prezzi del petrolio è stato un altro elemento chiave nel corso del primo semestre del 2017. Nonostante la decisione dell’OPEC di estendere fino a marzo 2018 le quote concordate a fine 2016, che prevedevano un taglio netto della produzione ai danni dei produttori di shale gas americani, i prezzi sono tornati a scendere. I mercati non sembrano aver considerato totalmente le conseguenze di questo calo. I produttori di greggio subiranno un impatto negativo e l’inflazione sarà probabilmente minore ovunque, il che potrebbe portare a una posizione più accomodante da parte delle Banche Centrali. Sebbene la Fed sia l’unica tra i principali Istituti Centrali ad aver aumentato i tassi di interesse, la Bank of England ci è andata vicina nell’incontro di giugno. Allo stesso tempo è aumentata anche la pressione nei confronti della BCE perché riduca gli stimoli. Senza dubbio torneranno i timori legati a una stagnazione secolare. Gli investitori dovrebbero però cercare di capire se i prezzi del petrolio stanno indicando davvero una diminuzione della domanda o se, più probabilmente, riflettono il miglioramento della produttività.
Conclusioni
La caduta dei rendimenti dei titoli sovrani insieme al rally in corso dell’azionario indica che gli investitori sono divisi sull’attuale outlook. La volatilità continua ad essere molto bassa nonostante la politica restrittiva della Fed. Anche se la liquidità è ampia e ciò, in passato, è stato uno dei principali fattori nel portare i mercati a muoversi nella stessa direzione e limitare la volatilità, la storia ci insegna che tale trend non è sostenibile. La caduta dei prezzi del petrolio è una possibile causa dell’attuale situazione dei mercati. Anche se i prezzi minori del petrolio toccheranno il settore energetico, con un’inflazione più bassa, alcune Banche Centrali come la Fed e la BoE potrebbero adottare politiche restrittive meno ambiziose, altre invece, come la BCE, potrebbero essere costrette a reintrodurre degli stimoli. Ciò indica che gli asset rischiosi possono continuare ad avere buone performance, soprattutto se la crescita continuerà senza ostacoli e l’inflazione rimarrà bassa.