A distanza di quasi dieci anni dallo scoppio della crisi finanziaria che ha trascinato il globo nella più grave recessione del secondo dopoguerra, con epicentro nella bolla dei mutui subrime, l’economia americana non è ancora del tutto bonificata dall’eccesso di debiti. L’emergenza sui prestiti ipotecari ad alto rischio è un ricordo lontano per molti investitori. Tra gli operatori nessuno ufficialmente ne parla. Ma a livello aggregato, il bilancio delle famiglie statunitensi è gravato da livelli di indebitamento persino superiori ai picchi del terzo trimestre 2008. Non a caso, da più fronti iniziano a levarsi le sirene di un nuovo allarme bolla, nel credito a stelle e strisce.
Secondo i dati appena pubblicati dalla Fed di New York, le passività ammontano complessivamente a 12.840 miliardi di dollari (circa cinque volte il debito pubblico italiano), 164 miliardi in più rispetto al record precrisi.
Analizzando le singole voci, si scopre che mentre i prestiti legati al mercato immobiliare, benché in crescita costante, si trovano ancora sotto i massimi di 10 anni fa, a 9,14 trilioni, altre componenti sono aumentate molto più rapidamente. Fino a spingere la leva finanziaria, a detta di qualche analista, oltre i livelli di guardia: il debito “non housing”, al 30 giugno, vale infatti 3.700 miliardi di dollari, mille miliardi in più, tondi tondi, rispetto all’apice del 2008.
Non solo. Alcuni segmenti del credito mostrano un preoccupante aumento del tasso di insolvenza. Un esempio? L’11,2% dei debiti contratti dagli studenti (che ammontano complessivamente a 1340 miliardi di dollari, cinque volte i livelli di 10 anni fa) è in default o sconta un ritardo di almeno tre mesi nei rimborsi: una percentuale quasi doppia rispetto a 15 anni fa. Anche i prestiti finalizzati all’acquisto dell’auto hanno evidenziato, negli ultimi due anni, un costante incremento nelle insolvenze, fino al 3,9%. Un dato comunque inferiore ai livelli pre-crisi.
La maggior parte dei prestiti concessi per finanziare gli studi o l’automobile sono a tasso fisso, quindi la traiettoria rialzista dei tassi d’interesse Usa non dovrebbe aggravare, di per sé, la sostenibilità dei debiti in essere. Ma se è vero che – come sostengono molti osservatori – gli Stati Uniti si trovano in una fase molto avanzata del ciclo economico (l’attuale fase espansiva è tra le più lunghe nella storia degli ultimi decenni), un eventuale deterioramento del quadro macroeconomico potrebbe diventare doloroso per vaste aree del credito.
Intanto, gli oltre 60 economisti interpellati dal Wall Street Journal in un recente sondaggio, attribuiscono in media all’ipotesi di una recessione negli Usa, una probabilità del 15%. All’interno del campione, però, tre operatori dichiarano una percentuale superiore al 30%, con un picco del 35%. Sul mercato, qualche analista inizia a temere che in molti stiano sottovalutando il tema e che il rischio debito possa finire di nuovo, improvvisamente, nel mirino.