“La ripresa è meno lenta di quanto si pensava”: queste le ultime affermazioni del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, sull’andamento dell’economia italiana e della produzione industriale, in particolare, che ha “registrato dati impensabili fino a 1-2 anni fa”. Matteo Renzi ha usato toni molto più netti, appropriandosi i meriti: “Produzione industriale +4.4% (Istat)”, aveva twittato l’ex premier, “noi portiamo Italia fuori dalla crisi. Salvini e Grillo portano Italia fuori dall’euro”. Che in Italia sia in atto una ripresa lo testimoniano numerosi dati: secondo le ultime proiezioni Istat, il Pil potrebbe crescere nel 2017 dell’1,5%; la disoccupazione, inoltre, si trova in calo. Le cause di questi sviluppi, però, sono da approfondire.
A moderare gli entusiasmi è un focus pubblicato giovedì dall’Economist intitolato “Perché l’economia italiana nei guai sta tornando in forma”. Notando come il ritardo italiano sul ritmo di marcia europeo si sia ridotto, la rivista britannica scrive che “la maggioranza degli economisti” concorda sul fatto che l’Italia stia “beneficiando del più ampio slancio in Europa” in quanto l’Italia “dipende fortemente dalle esportazioni e Germania e Francia sono i suoi più grandi clienti”. I “difetti strutturali” del Paese, ha aggiunto, “persistono e rendono difficile essere inequivocabilmente ottimisti”. La lista dei problemi è nota: “bassa produttività, poche imprese di grandi dimensioni, elevato debito pubblico, concorrenza limitata, giustizia civile lenta e università sottofinanziate e sottoperformanti”.
Secondo al rivista britannica le chance che su questi ultimi punti il prossimo governo possa fare qualcosa sono poche: con una legge elettorale dagli esiti proporzionali lo scenario più probabile vede coalizzati Pd e centro-destra (dando per scontato che il M5s rifiuterà alleanze). “Le possibilità che che un governo del genere approvi un’agenda di riforme liberali sono remote”.