Successe a Torino, aveva solo 16 anni e scappò dalle violenze del padre, trovando rifugio in una comunità alle porte della metropoli piemontese, dove venne ripetutamente stuprata e drogata anche ad opera dell’educatrice che avrebbe dovuto proteggerla.
Un film dell’orrore, concluso dopo ulteriori sedici anni in un’Aula di giustizia – si fa per dire – addirittura in Cassazione: aguzzini tutti assolti, reato prescritto.
Una vita all’impronta della violenza, della sopraffazione fisica e psicologica fondata sul sesso imposto con minacce e con droga: spesso per costringerla a fare ciò che non voleva, la sventurata era costretta ad assumere stupefacenti.
Questo incubo è proseguito fino a quando, temendo di essere rimasta in cinta, si è confidata con un’altra educatrice dello stesso centro che l’ha convinta a denunciare e siamo all’anno 2002.
Dopo cinque anni, è finalmente arrivata la prima condanna contro l’educatrice vipera, il marito e l’amante e a seguire, dopo il ricorso degli imputati nel 2016 si arriva alla seconda sentenza della Corte di Appello depositata a febbraio 2017, con il reato di violenza singola e lo spaccio di droga già prescritti.
La Cassazione si è occupata solo della “violenza di gruppo”, pure questo prescritto dopo sedici anni.
I tempi della Giustizia
Quello di limitare l’ammissibilità dei ricorsi, previa approfondita valutazione dovrebbe essere uno dei capisaldi del nostro pianeta Giustizia. In questo la politica ha una grande responsabilità quando si parla dei tempi biblici della nostra Giustizia, peraltro sanzionata ripetutamente dalla Corte Europea di Strasburgo.
Oggi, il più delle volte si fa ricorso per perdere tempo, nell’attesa della prescrizione del reato che, molto spesso puntualmente arriva.
Ecco, nel nostro pianeta giustizia, l’unico evento puntuale è la “prescrizione”.
Nel caso sommariamente descritto, a voler cercare un colpevole che merita l’ergastolo è proprio la “Giustizia” che non c’è.