L’Irlanda ha collocato per la prima volta nella sua storia un Bond con un coupon dello zero percento. In concreto il governo di Dublino verrà pagato per ricevere 4 miliardi di euro di prestiti per cinque anni.
Ancora più impressionante è la domanda ricevuta per l’emissione di debito che scade nel 2022: 10 miliardi di euro di richieste registrate. Il titolo di Stato ha un rendimento di meno 0,008%.
L’assenza della cedola significa a tutti gli effetti che l’Irlanda non dovrà pagare alcun interesse sui bond emessi, che scadranno tra cinque anni a un valore leggermente inferiore a quello del collocamento.
È uno degli effetti distortivi dell’attuale contesto di condizioni creditizie accomodanti e di tassi di interesse ultra bassi: gli investitori che hanno comprato il debito del paese dell’area euro sono sicuri di perdere soldi.
Negli ultimi anni i 1.700 miliardi di euro di bond governativi comprati dalla Bce nell’ambito del piano di acquisto di titoli Quantitative Easing, pensato per aiutare l’Eurozona a risollevarsi dalla crisi del debito sovrano, hanno schiacciato al ribasso, anche sotto lo zero, i rendimenti dei titoli di Stato di diversi paesi dell’area.
L’esempio più lampante è quello della Germania, dove i Bund quinquennali scambiano attualmente a meno 28 punti base. Anche altri paesi virtuosi come Finlandia e Austria hanno emesso quest’anno Bond con un coupon dello zero percento. Ma stupisce che sia toccato all’Irlanda uno dei paesi meno virtuosi raggruppati sotto l’acronomo Piigs (insieme a Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) all’apice della crisi del debito sovrano europeo.
In piena crisi nel 2012, l’Irlanda aveva piazzato sul mercato primario un bond della durata di cinque anni con una cedola del 5,5%. Tre anni dopo, prima di arrivare all’emissione con rendimenti negativi odierna, Dublino ha emesso un bond a sette anni con un coupon di appena lo 0,8%.
Più di un terzo della domanda di debito di nuova emissione del governo d’Irlanda, riferisce il Financial Times, è provenuta dai grandi gestori, con le banche che hanno offerto un altro 35% del book degli ordini. I fondi hedge hanno invece rappresentato il 17% delle domande. Evidentemente i grandi player di mercato scommettono che i rendimenti scenderanno ancora nonostante il possibile avvio di un processo di normalizzazione delle politiche monetarie di Draghi e soci a partire dal 2018.