Ancora una volta sarà il trading il tallone d’Achille dei risultati societari trimestrali delle big del settore finanziario Usa. Il business delle grandi banche americane, che si apprestano a presentare i conti fiscali del terzo trimestre, è andato bene in generale, ma una nota molto negativa riguarda il volume delle attività di trading che ha compromesso trimestrali che sarebbero altrimenti da considerare positive soprattuto alla luce di un contesto di tassi ancora relativamente bassi.
I volumi degli scambi sono stati tormentati negli ultimi mesi da livelli minimi record di volatilità, un fenomeno “sconcertante” come lo ha definito il fresco premio Nobel per l’Economia Richard Thaler. Gli investitori fanno fatica a trovare dei motivi per scommettere sui titoli di Borsa, i quali non si discostano molto dai livelli record.
Alla fine del terzo trimestre, la media dell’indice della volatilità CBOE – soprannominato l’indice della paura – si è attestata ai minimi assoluti. Anche se le banche quotate sull’S&P 500 dovrebbero registrare un incremento dell’EPS (utile per azione) del 6,4% e una crescita del fatturato dell’1%, secondo le stime di Thomson Reuters, questi numeri sono stati rivisti al ribasso per via delle difficoltà a generare ricavi delle divisioni di trading.
Le stime sul fatturato sono infatti del 2,2% più basse rispetto al primo luglio, mentre quelle sui profitti per azione sono inferiori dell’1,8%. I trader fanno sapere a Reuters che ad allontanarli dall’azionario è anche la crescente popolarità degli strumenti di investimento passivo come i fondi ETF, che vengono preferiti agli investimenti di tipo attivo.
Nessuno sa quando volatilità e volumi si riprenderanno
Anche i volumi di scambi nei mercati del reddito fisso, valutario e delle materie prime sono stati colpiti da una volatilità bassa nel terzo trimestre. A rendere ancora peggiore la situazione è il fatto che le banche devono fare i conti con un metro di paragone molto difficile. Un anno fa nel terzo trimestre gli investitori erano molto impegnati nelle attività di trading dopo il referendum sulla Brexit e in vista delle elezioni presidenziali Usa.
“Agosto è stato un periodo molto fiacco da questo punto di vista, lo si è visto bene con le notizie uscite nel mese di settembre”, osserva Thomas Roth, a capo della divisione U.S. Treasury trading presso MUFG Securities America, broker con uffici a New York. Proprio a settembre i manager delle grandi banche di Wall Street come JP Morgan Chase, Bank of America e Goldman Sachs hanno avvisato che i ricavi dalle attività di trading sarebbero stati bassi in quello che hanno definito un “trimestre duro”.
Stando alle previsioni di KBW (Keefe, Bruyette & Woods), rispetto a un anno fa le banche americane accuseranno nel complesso un calo del 16% del fatturato proveniente dalle attività di trading e un peggioramento del 7% rispetto al trimestre precedente. Su base annuale nel secondo trimestre il settore aveva già dovuto fare i conti con una flessione del 10%.
Sempre secondo le stime della banca d’affari newyorchese, i ricavi dagli scambi nell’azionario rimarranno pressoché invariati, mentre quelli in obbligazionario, valutario e materie prime sono visti in calo del 25%. Tra le singole banche, peggio dovrebbe andare a Goldman Sachs (-20% dei ricavi per la divisione di trading rispetto a un anno prima), mentre per JP Morgan ci si aspetta una contrazione del 19%, Citigroup del 16%, BofA del 15% e Morgan Stanley del 10%.
Il problema per le banche degli Stati Uniti (e non solo) è che i problemi principali che hanno mantenuto bassa la volatilità sinora rimarranno intatti probabilmente anche nel quarto trimestre. “Nessuno sa quando la volatilità si riprenderà”, osserva a Reuters Russel Price, senior economist di Ameriprise Financial. “I metri di paragone saranno migliori dopo il primo trimestre dell’anno prossimo ed eventuali novità sul fronte della riforma fiscale Usa potrebbero favorire l’attività di trading”.