Politica nazionale: direzione Italia
Il treno della speranza, delle riforme, dell’ottimismo ragionato e della buona Politica parte oggi: direzione Italia.
Matteo Renzi conta di attraversare 107 province nell’arco di otto settimane, cercando il dialogo e le proposte per allargare l’orizzonte del Partito democratico. Non è una campagna elettorale, per quella c’è tempo: si tratta di raccogliere le forze e le idee per fare sintesi cercando di accorciare una “forbice del benessere” che nell’ultimo decennio, non solo per effetto della crisi, si è notevolmente allargata a danno dei meno abbienti.
Quello di comprendere le ragioni di un disagio per restituire slancio alle nostre imprese in termini di competitività, favorendo il rientro di aziende delocalizzate per pura sopravvivenza anche con incentivi fiscali, riducendo la pressione tributaria per aumentare gli investimenti privati e creare occupazione.
Dobbiamo metterci in testa che il lavoro lo crea l’impresa e se ciò è vero, lo Stato, deve creare le condizioni migliori in termini infrastrutturali – trasporto, ambiente, territorio – e immateriali – sicurezza, corretto funzionamento della Pubblica amministrazione.
Per fare questo, bisogna riprendere i contenuti del processo riformatore interrotto il 4 dicembre 2016 grazie all’accozzaglia.
Quello di ridurre la burocrazia e la corruzione sempre più diffusa e devastante come il vero cancro del terzo millennio, la semplificazione dei processi amministrativi per semplificare la vita ai cittadini ed alle imprese, la riduzione dei costi della politica, l’abolizione degli enti inutile deve essere la “stella polare” del futuro Governo.
Senza riforme, non solo non si cresce, ma si muore il ché è decisamente peggio.
Il popolo del SI, quello che in modo convinto e consapevole ha votato questo grande progetto rappresenta il 41% degli italiani aventi diritto al voto, ben 13 milioni di persone che non aspettano altro.
Il tempo delle chiacchiere fini a se stesse e della politica inconcludente o delle alleanze per conservare la poltrona è per fortuna finito.
I segnali sull’economia che ci giungono dall’Istat o anche da indicatori internazionali (Fmi per esempio) sul Pil in crescita, sulla produzione industriale, sull’export o sulla occupazione sembrano rappresentare un chiaro segnale che la direzione dei famosi “mille giorni” è giusta e che trattasi di un trend che va rafforzato con misure più coraggiose sul versante fiscale.