ROMA (WSI) –L’incertezza politica nel dopo elezioni insieme alla fine della politica accomodante da parte della Bce potrebbero avere conseguenze molto pesanti per l’Italia e tra il 2018 e il 2020 il nostro paese potrebbe nuovamente vivere un altro shock da spread come successo nel 2011 e pagare un conto salatissimo, sui 21,7 miliardi di euro.
A lanciare l’allarme non sono i soliti cospirazionisti bensì l’UBP, l’Ufficio parlamentare di bilancio con la nota di lavoro Il modello UPB di analisi e previsione della spesa per interessi.
Quanto è costata all’Italia la crisi del 2011-2012 in termini di maggiori interessi sul debito pubblico e se l nostro Paese ne paga tuttora un prezzo? Che effetti avrebbe sul debito un aumento dei rendimenti dei titoli pubblici? La Nota di lavoro “Il modello UPB di analisi e previsione della spesa per interessi“, prova a rispondere a questi interrogativi attraverso alcune simulazioni e analisi controfattuali rese possibili dallo sviluppo di un nuovo strumento di analisi e previsione che consente di stimare l’impatto dei principali fattori che influenzano la dinamica della spesa per interessi (tassi, composizione delle emissioni, fabbisogno). La Nota descrive la caratteristiche del modello e presenta alcuni scenari nei quali si analizzano le determinanti della spesa per interessi nel recente passato e si effettuano esercizi di sensitività delle spesa futura.
“Fino alla prima decade degli anni Duemila, l’Italia ha beneficiato delle riduzione dei tassi a livello globale e della progressiva convergenza degli spread a livello europeo. Successivamente, in corrispondenza della crisi dei debiti sovrani, i tassi sul debito italiano hanno scontato il maggior rischio-paese. L’intervento della Banca Centrale Europea (BCE) e l’adozione del Quantitative Easing (QE) ha reso possibile una riduzione dei tassi tale da portare a un minimo storico la spesa per interessi sul PIL. Utilizzando il modello UPB è possibile quantificare l’effetto sulla spesa per interessi della crescita dei tassi nelle fasi di crisi, distinguendo una fase acuta (luglio 2011 – settembre 2012) da quella precedente l’avvio del QE (ottobre 2012 – maggio 2014). Nel complesso si stima che la crisi ha comportato negli anni 2011 – 2016 una maggiore spesa di circa 47 miliardi, di cui circa 31 miliardi connessi alla fase acuta e 16 miliardi alla fase successiva. Nel 2016 il costo ammonta ancora a circa 7,6 miliardi complessivi”.
Ma il dato che rivela l’ufficio parlamentare di bilancio e che preoccupa è un altro e riguarda la stima dell’impatto di un potenziale incremento del costo del debito sulla spesa per interessi negli anni futuri.
Simulando due diversi shock sulla curva dei tassi: il primo consiste in un aumento di 100 punti base (1%) omogeneo su tutte le durate; il secondo in un aumento di maggiore entità, e differenziato sulle diverse durate secondo un profilo analogo a quanto accaduto nella crisi del 2011.
“Simulando uno shock di 100 punti base su tutta la curva dei rendimenti (a partire da gennaio 2018 e per tutto il periodo di previsione del DEF, quindi fino al 2020), la spesa incrementerebbe di circa 1,8 miliardi nel primo anno (+3,4 per cento della spesa), 4,5 miliardi nel secondo (+8,6 per cento) e 6,6 nel 2020 (+12,6 per cento). L’incremento del fabbisogno risultante sarebbe rispettivamente di 0,1, 0,3 e 0,4 punti di PIL. (…) Considerando l’impatto di uno shock differenziato lungo la curva dei rendimenti, applicando alla curva dei tassi uno spread analogo alla variazione nel costo all’emissione dei titoli registrata durante la crisi del debito sovrano. L’incremento della spesa sarebbe decisamente superiore rispetto a quanto riscontrato nell’esercizio precedente, contribuendo ad un maggior indebitamento che raggiungerebbe gli 11 miliardi nel 2020 (rispettivamente 0,2, 0,4 e 0,6 punti di PIL). Risulta in ogni caso rilevante la durata dell’esposizione allo shock: se questo risulta prolungato nel tempo, come avvenuto durante la crisi dei debiti sovrani, maggiore è la probabilità che ne derivino incrementi sensibili della spesa per interessi in grado di condizionare il percorso di convergenza verso gli obiettivi previsti dal patto di stabilità europeo”.