Referendum Lombardo –Veneto: i segnali di una Catalogna nazionale!
Il Governatore della Lombardia e diversi parlamentari con camicia verdognola, già prima dell’esito referendario andavano ripetendo: anche la Brexit in Gran Bretagna è iniziata così!
A urne chiuse ed esito scontato, l’altro Governatore del Veneto ha ulteriormente tuonato: E adesso i 9/10 delle risorse venete devono rimanere sul nostro territorio.
O ancora: Anche noi vogliamo avere lo Statuto speciale come la Sicilia.
Nel frattempo pare che anche la Regione Piemonte si è fatta sentire: faremo pure noi un Referendum analogo.
Nel frattempo qualche autorevole dirigente del partito democratico che, come molti sindaci nordici hanno votato Si al Referendum, ha detto:
<< Il tema è: c’è una questione veneta oppure no? Si può negare che chi vive tra due regioni a statuto speciale affronta una situazione di disparità, dovendo competere con comuni che pur stando a pochi km agiscono in un regime totalmente diverso? No, non si può negare. E del resto va detto con chiarezza che voler trovare risposte a queste esigenze non significa che non vogliamo rimanere italiani o smettere di contribuire con spirito nazionale e solidaristico. Questo voto non è in distonia con lo spirito solidale dei veneti, che ha la faccia del volontariato più numeroso d’Italia. Come Partito Democratico dovremmo avere il compito e l’ambizione di volerlo raccontare ai nostri amici di tutte le regioni – cit. Alessia Riotta>>.
Considerazioni di ordine generale
Al netto delle belle parole di circostanza come “spirito solidaristico nazionale”, sembra ormai chiaro che l’obiettivo delle Regioni interessate al Referendum appena concluso sia stato di natura economica.
Posta l’ostilità manifestata da alcune forze politiche in occasione dell’appuntamento referendario del 4 dicembre 2016[1], a proposito di una urgente e non rinviabile necessità di rimodulazione del Titolo V della Carta, con particolare riguardo alla “Legislazione concorrente” di cui al terzo comma del vigente articolo 117 che tanto contenzioso e difficoltà ha creato ai cittadini e alle imprese, ancora meno si comprende l’iniziativa di oggi.
Se una riforma andrà fatta, non potrà certamente essere quella di aprire alla filosofia dello “Statuto speciale” a maglia larga, considerato il cattivo esempio dato proprio dalla Regione Sicilia nella gestione della spesa pubblica a cominciare, in termini assoluti, dal numero di dipendenti regionali – dirigenti, quadri ed esecutivi – a quello dei forestali, ai benefici riservati alla classe politica locale etc.
Nell’ottica del quadro “indivisibile della nazione” statuito dai Costituenti con l’articolo 5, sarebbe bene rimuovere questi eccessi che negli anni si sono prodotti verso le cinque Regioni a Statuto speciale, disciplinando in modo più preciso le diverse autonomie locali e meglio regolamentando le diverse responsabilità amministrative e di gestione.
Insomma, se qualcosa va fatto, se non vogliamo percorrere la strada spagnola penso che il percorso sia esattamente l’opposto.
Chi vivrà, vedrà!
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[1] Meglio conosciute con l’appellativo “accozzaglia”