In Europa la ripresa economica è sulla bocca di tutti: il Pil è cresciuto dello 0,6% su base trimestrale nel terzo quarto dell’anno per il diciottesimo incremento consecutivo nell’area a 19. I dati sono stati accolti dalle autorità dei paesi membri come un grande risultato. Il problema è che questi tassi di crescita non sono né eccezionali né sostenibili, in quanto alimentati dalle droghe monetarie della Bce che tra un anno verranno inevitabilmente meno.
“L’economia europea continua il suo lento percorso verso l’abisso“, secondo quanto scritto in un report da Jeffery Snider di Alhambra Investment Partners. L’espansione delle attività dello 0,6% non raggiunge nemmeno lontanamente i tassi di crescita medi visti a fine Anni 90 o a metà Anni 2000. Attenendosi alle statistiche si scopre insomma che uno dei trimestri migliori della fase di ripresa in Europa è sotto la media storica. Significa che l’economia sta ancora facendo fatica a ingranare la marcia successiva.
Anche gli ultimi trimestri positivi non sono così positivi come i governi e Bruxelles vogliono fare apparire, dice Snider nella sua analisi. Lo slancio ritrovato in Europa non sarà mai sufficiente a recuperare quello che è stato perso durante una evidente e lineare fase di contrazione delle attività economiche.
“Quando l’economia si contrae, anche se il Pil si riprende e vira in positivo dopo una crisi, pure per 18 trimestri di fila, il periodo di calo dell’attività non si è mai veramente concluso“, osserva la società di investimenti nel report.
Guardando ai dati reali del Pil si scopre che il gap rispetto alla crescita pre crisi è più ampio ora dopo quattro anni e mezzo di crescita costante, rispetto a quanto non fosse al punto più basso della recessione dell’Europa il primo trimestre del 2013.
Se le politiche monetarie avessero avuto successo, poi, l’inflazione si sarebbe già riavvicinata agli obiettivi prefissati dalla Bce del 2% e invece non è affatto così. I risultati di ottobre 2017 dicono anzi il contrario, evidenziando la possibile presenza di altri problemi in vista.
L’indice HICP dei prezzi al consumo ha mostrato un’accelerazione dell’1,4% in Europa il mese scorso, mentre il valore “core” – depurato da componenti volatili come cibo ed energia – è sceso nuovamente sotto il +1%. Il dato di riferimento sull’inflazione in Eurozona continua ad allontanarsi dalla soglia obiettivo mentre Mario Draghi e soci del board si aspettavano che fosse così solo per alcuni mesi verso la metà dell’anno.
La situazione dal punto di vista dell’inflazione non dà segni di miglioramento. Una volta “digeriti” gli effetti dell’andamento dei prezzi del petrolio in aprile e in maggio, i modelli di previsione della Bce erano per un incremento moderato ma progressivo dell’inflazione verso il 2%, un target considerato raggiungibile a inizio dell’anno prossimo. Il tasso ‘core’ invece viaggia al +0,9%, dicendo che potrebbe essere invece vero l’opposto.
Nonostante le iniezioni di liquidità massicce ancora in corso da parte della Bce, queste operazioni non hanno alcun legame con l’inflazione e pertanto con le condizioni monetarie nell’economia reale. Il raffreddamento dei prezzi al consumo continua a suggerire un’estrema cautela nel fare previsioni sull’Europa e apre le porte a “uno scenario di contrazione non lineare“, secondo la società di gestione del patrimonio.
“Anche se la Bce inizierà a ridurre la mole del suo programma straordinario di acquisto di Bond, i rendimenti dei Bund tedeschi viaggiano nella direzione sbagliata alla luce di quello che il tapering del Quantitative Easing dovrebbe rispecchiare”.
Un titolo a due anni negativo in Germania è indice di una preferenza per la liquidità – spiega Snider – che a sua volta è sintomo di un’economia (e di riflesso di un’inflazione ‘core’) in difficoltà che non riesce a prendere veramente slancio. Se la Bce si appresta a diminuire la quantità di Bond da acquistare in Europa – e pertanto anche di Bund – non ha senso che i rendimenti continuino a scendere in Germania.
Si può dunque affermare che il rendimento dei Bund sul tratto a breve termine si sta muovendo nel senso opposto a quello che vorrebbe la logica di condizioni monetarie e creditizie meno favorevoli, in vista di un ridimensionamento del piano di Quantitative Easing. “È da diversi mesi, dalla fine di giugno, che accade” ma nessuno ne discute nella maniera approfondita che meriterebbe nei media mainstream in Europa.
Si cita spesso il mistero dell’inflazione senza che però qualcuno abbia veramente scavato a fondo per capire l’origine di questo “male”. Intanto la confusione regna ancora sovrana in ambito politico e permangono grandi dubbi sul futuro dell’Europa unita.
Ma di questi tempi sembra che basti ribadire il concetto di un’economia in miglioramento costante per poter celare le questioni irrisolte relative alle incertezze politiche e allo strano andamento dei prezzi al consumo.