L’imprenditore Flavio Briatore, la famiglia Savoia e altre personalità note in Italia vengono citati nelle nuove rivelazioni sullo scandalo dei Paradise Papers, scoppiato dopo gli oltre 13 milioni di documenti confidenziali ottenuti dello studio legale delle Bermuda Appleby dal giornale tedesco Suddeutsche Zeitung e resi di pubblico dominio in novembre. In un recente articolo di L’Espresso che porta la firma di Paolo Biondani, Gloria Riva e Leo Sisti si parla degli affari associati a una serie di yacht di lusso.
Un capitolo riguarda lo yacht della famiglia dei Savoia: sembra che gli eredi della storica dinastia dei reali abbiano un panfilo intestato a una società estera con sede in un paradiso fiscale. Lo yacht, la cui costruzione risale a venti anni fa, sarebbe rimasto nelle acque di Malta. Interpellato dai giornalisti de L’Espresso, il segretario dei Savoia avrebbe confermato che Vittorio Emanuele è azionista della società registrata nella capitale maltese, La Valletta, dal 1991 e che va sotto il nome di Sabaudia Shipping Company Limited.
Il segretario ha fatto sapere che “la società non esercita alcuna attività commerciale” a conferma dell’uso privato dell’imbarcazione da parte dei Savoia. Stando alle nuove rivelazioni, titolari insieme a Vittorio Emanuele di Savoia della società offshore, che risulta ancora operativa, sarebbero la moglie Marina di Savoia e il figlio Emanuele Filiberto e la moglie del principe Vittorio Emanuele, Marina di Savoia.
Il nome di Briatore viene citato in riferimento allo yacht Force Blue da 16 milioni di euro che due anni fa è costato una condanna in primo grado a un anno e undici mesi al ricco imprenditore italiano. L’imbarcazione sembra sia stata registrata alle isole Cayman, attraverso una società anonima delle Isole Vergini Britanniche, ma che sia intestata alla Autumn Sailing Limited, il cui titolare effettivo risulta essere lo stesso Briatore. L’Espresso cita un portavoce secondo cui la società avrebbe esercitato attività commerciali, con l’acquisto di altre imbarcazioni.
Lo schema utilizzato da Briatore sarebbe lecito secondo il tribunale, “anche perché lo stesso Briatore ha ammesso, davanti ai giudici, quello che già spiegavano le email sequestrate dalla Guardia di Finanza: dietro le società anonime, “il titolare effettivo” è sempre stato lui”. Il problema, come spiegano i giornalisti di L’Espresso, è che Briatore “ha esagerato: per non pagare 3,6 milioni di Iva e altri 535 mila euro di tasse sul carburante, ha presentato la sua offshore come «società commerciale» e la barca come «azienda». Usata anche da lui, ma «come cliente», che pagava l’affitto «come gli altri»”.
Briatore, come hanno documentato i procuratori di Genova, aveva l’uso esclusivo dello yacht “per più di metà dell’anno” e “per un intero quinquennio”, tuttavia “non ha mai pagato il conto” di almeno tre lunghi viaggi tra Barcellona e la Sardegna. Inoltre il denaro pagato alla società offshore veniva immediatamente restituito a Briatore dal trust “senza giustificazione”. Quando “lo yacht navigava ai Caraibi o in acque spagnole, dove la legge non ammette che una nave commerciale porti a zonzo solo il suo proprietario, la classificazione cambiava in ‘pleasure‘: barca personale, per viaggi di piacere”.
Si tratta delle ennesime rivelazioni destinate a fare infuriare il cittadino medio che paga legalmente le loro imposte allo Stato. Che avvenga con metodi legali o meno, l’opinione pubblica e in generale i contribuenti meno benestanti non sono per nulla contenti del fatto che i ricchi si servano dei conti offshore per eludere il fisco e pagare meno tasse.
“L’italiano medio – recita l’incipit con toni critici dell’articolo del magazine italiano – se si compra una barchetta da diporto usata deve pagare l’Iva del 20 per cento, le sovra-imposte sul carburante, la tassa d’ormeggio e tutti gli oneri accessori applicati dal fisco italiano. Gli eredi della storica dinastia dei re d’Italia, invece, hanno uno yacht intestato a una società estera con sede in un bel paradiso fiscale”.