Cina, controlli di capitale e stretta risparmio gestito pongono rischi sistemici
In Cina la nuova stretta di regolamentazione nel settore del risparmio gestito pone dei seri rischi sistemici. È l’avvertimento lanciato dalle banche della seconda potenza economica al mondo. Tra i pericoli citati da un gruppo di dieci banche cinesi, che hanno espresso la loro contrarietà in un incontro a porte chiuse a Shanghai la settimana scorsa, c’è quello di una corsa ai prelievi di denaro dai conti bancari.
Stando a quanto riferito a Reuters da tre fonti a conoscenza dei fatti, i dirigenti delle banche si sono lamentati del fatto che le misure intraprese dal governo potrebbero avere un impatto pesante sui mercati finanziari e potrebbero persino “scatenare rischi finanziari sistemici“.
Tra le nuove regole stabilite dalle autorità figura quella sulla rimozione delle garanzie implicite per i prodotti di risparmio gestito. La stretta rischia di compromettere la liquidità nel settore dell’asset management e di incrementare la volatilità di mercato, secondo le fonti citate dall’agenzia di stampa. In Cina è raro vedere proteste di questo tipo da parte dei banchieri.
La mole di debiti di aziende e famiglie non è certo una novità per la Cina: da tempo le grandi organizzazioni internazionali come l’FMI e le agenzie di rating hanno lanciato degli allarmi sulla situazione. Citando la crescita molto rapida dei debiti Standard and Poor’s ha declassato il giudizio sul credito sovrano della Cina. Di recente è stato addirittura il presidente della banca centrale a parlare del pericolo di un “momento Minsky” per via della montagna di debiti.
Il governo del presidente Xi Jinping è impegnato in una campagna per ridurre i rischi e gli elevati livelli di indebitamento in un sistema finanziario sempre più complesso, minacciato anche dalle attività del settore bancario parallelo (il cosiddetto ‘shadow banking‘). Nel 2016 i debiti complessivi di pubblico e privato hanno raggiunto i 22mila miliardi di dollari.
Riflessi stretta della Cina si fanno sentire altrove
A fine anno sono entrate in vigore inoltre nuove regole più restrittive per impedire la fuga di capitali dal paese. I controlli di capitale hanno ridotto di oltre il 40% gli investimenti offshore in Cina e rischiano di raffreddare in maniera considerevole il mercato immobiliare, non solo in patria ma anche in altri grandi paesi dell’area orientale con cui i businessman di Pechino fanno affari, come l’Australia.
Rispetto al 2016 gli investimenti stranieri in società non finanziarie cinesi sono scesi del 40,9% nei primi dieci mesi del 2017. Da parte loro le banche cinesi stanno mettendo da parte montagne di denaro e non lo stanno reinvestendo come dovrebbero, perché sanno che il governo annuncerà altre misure di stretta sui livelli di indebitamento, mettendo un freno agli investimenti. Il fenomeno sta di riflesso aumentando il costo del denaro nei mercati monetari, creando un ciclo vizioso pericoloso nella prima potenza asiatica.
“Ottenere soldi dalla Cina è molto più difficile ora”, si lamenta con la testata Strait Times il fondatore dell’australiana Property Direct, David Beard, che ha venduto alcuni appartamenti con due stanza da letto a un prezzo del 15-20% inferiore al valore di listino.
Le vendite di case in Australia, fino a poco tempo fa un mercato in grande salute, sono calate per via della ultime misure di controllo dei capitali entrate in vigore in Cina e questo ha reso più difficile ottenere prestiti immobiliari nel paese e in altri Stati in cui la Cina gioca un ruolo importante, essendo patria di ricchi investitori internazionali nell’immobiliare.
Secondo i calcoli di UBS un acquirente su cinque a Brisbane, la terza città dell’Australia, faticano a trovare un accordo per finalizzare l’acquisto e se i prezzi continuano a scendere altri analisti si aspettano una simile risposta anche in mercati più grandi come quelli di Sidney e Melbourne. Se gli acquisti di case da parte di investitori cinesi rallentano, il mercato del mattone australiano potrebbe finire nei guai.