Nel 2017 ha cominciato a manifestarsi un mutamento dei fondamentali a livello globale. La crescita è accelerata in tutte le regioni dell’economia globale. I segnali di inflazione nell’eurozona erano tali da indurre la BCE a considerare la possibilità di ridurre gradatamente gli acquisti di titoli.
In molti casi però è parso che gli investitori avessero passato buona parte del 2017 a rimanere ancorati ai timori deflazionistici del passato anziché prendere atto della nuova realtà economica. Infatti, ci sono stati lunghi periodi in cui il valore delle azioni costose con una crescita più lenta (ma meno sensibile al ciclo economico) degli utili è salito più di quello di azioni con prezzi convenienti ma con una crescita più rapida degli utili.
Quando i tassi di interesse scendevano, l’acquisto di azioni di crescita secolare o simil-obbligazionarie funzionava, grazie appunto a bassi tassi di interesse e ad un basso tasso di inflazione. Tali azioni in genere non rendono bene quando i tassi di interesse invece salgono. Quindi, se il 2017 è stato l’anno in cui le condizioni economiche hanno cominciato a cambiare, è possibile che il 2018 sia l’anno in cui gli investitori in Europa cominciano a adeguarsi alla nuova realtà macroeconomica? E quali altri cambiamenti potrebbe avere in serbo il 2018?
L’inflazione ha ripreso a salire. In passato si diceva che ciò era dovuto “solo” all’aumento dei prezzi petroliferi (chi nega la reflazione ama termini come “solo” e “ma” come se i fatti potessero essere ignorati solo perché le loro teorie non li prevedono). Sono diversi i fattori che contribuiscono a far salire l’inflazione. Una crescita economica più rapida è in genere il risultato di una domanda più elevata, che si traduce in un aumento dei prezzi da parte delle società e, a seguire, in una richiesta di salari più alti da parte dei lavoratori per tenere il passo con i prezzi.
Il sindacato tedesco IG Metall, per esempio, ha chiesto un incremento salariale del 6% alla Volkswagen per il 2018. I salari dei metalmeccanici, non aumenteranno nella stessa misura, ovviamente, ma anche la metà di tale aumento sarebbe di gran lunga superiore all’inflazione obiettivo del 2% della BCE. Personalmente, ritengo che l’aumento sarà di circa il 4%. I lavoratori che ricevono aumenti in busta paga tendono a consumare di più, facendo salire la domanda e, potenzialmente, l’inflazione.
Se dovessi stilare una classifica degli attuali rischi dei mercati azionari, metterei ai primi posti non la Brexit, Trump o la Corea del Nord ma le (estremamente) costose azioni di crescita che ogni investitore ha già in portafoglio, le cui valutazioni sono sostenute da bassi tassi di interesse. Non ha senso presumere che le strategie di investimento che hanno funzionato in fase di calo dei tassi di interesse continueranno a funzionare anche quando questi ultimi saliranno. Se così fosse potremmo tranquillamente concludere che ci sono strategie buone per tutte le stagioni. Il passato però insegna che niente nei mercati azionari è per sempre.
Oggi il rapporto fra crescita e valore non è forse ai livelli estremi del 2016 ma non è molto lontano. Non è solo una questione di valutazione relativa ma sono le aziende cicliche a buon mercato che stanno alimentando in gran parte la crescita degli utili in Europa: banche e società di costruzioni, di prodotti di consumo discrezionali, industriali e energetiche. Riteniamo che sia opportuno investire in queste società nel 2018, specialmente perché molte di esse sono ancora a buon mercato, dopo anni di ritardo rispetto ai mercati. Un importante ruolo a favore degli azionisti di queste società è svolto anche dalle dinamiche dalla leva operativa in una fase di rialzo ciclico.
Uno dei settori più economici e bistrattati del mercato d’Europa è quello energetico. Questa cosa potrebbe cambiare. Quello energetico non è un settore amato dagli investitori, come dimostrato dal forte divario che si è manifestato fra i movimenti dei prezzi del petrolio e l’andamento delle azioni delle società del settore.
La nostra impressione è che il divario sarà colmato con il rialzo dei prezzi delle azioni, che andranno così ad allinearsi al prezzo del petrolio, man mano che le aziende annunciano buone notizie. Le preoccupazioni circa la riunione dell’OPEC di novembre si sono rivelate infondate, con l’annuncio dei tagli alla produzione concordati fino alla fine del 2018. A nostro avviso, tutto questo è più che sufficiente per sostenere il prezzo del petrolio. L’offerta è già inferiore alla domanda e le scorte si stanno riducendo, una tendenza che riteniamo che durerà fino a quando la crescita economica globale resta sostenuta.