Per il momento la maxi riforma fiscale voluta da Donald Trump ha recato più danni che vantaggi economici a JP Morgan. La misura, tanto lodata dall’amministratore della banca Jamie Dimon, che Trump a un certo punto sembrava volere come capo del Tesoro del suo gabinetto, ha infatti pagato cara una tassa sul rimpatrio dei redditi incamerati all’estero. La banca Usa, inoltre, ha dovuto anche fare i conti con una perdita molto peculiare.
Un singolo cliente della divisione dell’azionario di JP Morgan, che altrimenti avrebbe avuto un trimestre positivo, ha provocato una perdita di ben 143 milioni di dollari. La banca ha fatto sapere che la perdita è legata al grande rivale di Ikea, il colosso della grande distribuzione Steinhoff International, che è alle prese con uno scandalo, legato a una presunta frode contabile, che si può considerare uno dei maggiori dal 2008, sicuramente in Europa.
Per la sua solidità ed esposizione internazionale, il gruppo sudafricano quotato alla Borsa di Johannesbourg e dal 2015 anche alla piazza di Francoforte, che controlla tra gli altri la catena di negozi Conforama e che all’origine era un piccolo commerciante di mobilio tedesco, è stato per tanto tempo uno degli investimenti preferiti non solo di JP Morgan ma anche dei grandi fondi pensione sudafricani e di altre big del settore bancario come Citigroup, Goldman Sachs, Nomura e HSBC.
“È di gran lunga la maggiore perdita mai vista in quel settore dai tempi della crisi finanziaria”, ha riferito il Chief Financial Officer Marianne Lake durante la conference call con gli analisti. La manager ha confermato che anche gli accantonamenti per perdite creditizie nel quarto trimestre, pari a 130 milioni di dollari, sono da attribuire a Steinhoff. Se si tiene conto anche di questa voce, in totale Steinhoff è costata a JP Morgan 273 milioni di dollari nell’ultimo quarto del 2017.
Cionostante gli utili di JP Morgan hanno fatto meglio del previsto nell’ultimo trimestre dell’anno scorso, per lo meno se si escludono tasse e altre componenti straordinarie. In quel caso i profitti netti sono stati pari a 6,7 miliardi di dollari, per un EPS di 1,76 per azione che si confronta con le stime degli analisti interpellati da Thomson Reuters, che erano in media per un risultato di $1,69.
Il fatturato è salito del 4,6% a quota $25,45 miliardi, facendo meglio delle stime che erano pari a $25,15 miliardi. I guadagni registrati sul fronte dei redditi da interessi (+11%) hanno controbilanciato l’atteso calo delle attività di trading. La banca ha dovuto sborsare 2,4 miliardi di dollari per coprire una nuova imposta una tantum sul rimpatrio di capitali guadagnati all’estero. Se si tiene conto anche delle tasse, l’utile netto GAAP (Generally Accepted Accounting Principles) si è ristretto del 73% a quota 1,07 per azione (4,23 miliardi in totale) dai $6,73 miliardi (EPS di $1,71) dell’ultimo trimestre dell’anno prima.
La nuova legge fiscale introdotta dal presidente Donald Trump sarà dolorosa nell’immediato ma poi permetterà di ottenere benefici alla lunga per le grandi banche Usa che fanno affari fuori dai confini statunitensi. “L’implementazione della riforma fiscale nel quarto trimestre” ha detto Dimon, che Trump sembra avesse anche inserito nella lista dei candidati per il posto di capo del Tesoro del suo governo, “è un esito molto positivo per il paese. Le società americane saranno più competitive nel mondo, e questo porterà dei benefici a tutti gli americani“.