I gestori e gli analisti che da tempo dichiarano conclusa la fase rialzista dell’obbligazionario, un mercato da 14mila miliardi di dollari, continuano e essere smentiti dai mercati del credito, che ultimamente sono quasi sempre dalla parte della ragione.
Quando la Federal Reserve ha segnalato cambiamenti di politica monetaria, i mercati del reddito fisso hanno interpretato sempre correttamente come tali modifiche di strategia avrebbero impattato l’economia e i mercati. Il tempismo del primo ciclo di strette monetarie annunciato a dicembre 2015 dalla banca centrale Usa si è rivelato sbagliato e i mercati creditizi l’avevano capito.
In un contesto in cui i mercati obbligazionari continuano a dare segni di stagnazione secolare in arrivo, la Fed continua a stringere la cinghia alzando il costo del denaro. Dal 2009 i prezzi delle asset class sono stati alimentati artificialmente dalle iniezioni di liquidità smisurate, via piani stimolo monetario straordinari, e da tassi di interesse pressoché azzerati, mentre le operazioni di acquisto di azioni proprie delle aziende quotate espandevano gli utili operativi oltre i livelli di crescita reale del fatturato.
La Fed si è convinta che il futuro economico sia luminoso. Sfortunatamente Wall Street e la banca centrale non sono ancora una volta stati in grado di riconoscere I sintomi della trappola della liquidità per la quale i tassi di interese a breve rimangono bassi e gli sbalzi della basa monetaria non si traducono in un surriscaldamento dell’inflazione. Il contesto di “riccioli d’oro” dell’economia (crescita globale coordinata accompagnata da prezzi al consumo bassi) viene anzi salutato con favore da chi investe in Borsa.
La mancanza di una politica fiscale responsabile, i livelli crescenti di indebitamento e l’andamento demografico, che potrebbe mettere sotto sforzo il sistema finanziario, renderà ancora più difficile il compiuto della Fed che spera di continuare ad alimentare la ripresa dell’economia sopra il tasso del 2%.
“Imponendo una stretta monetaria in ritardo come sta facendo, ossia nella fase avanzata del ciclo economico attuale, la Fed finirà per creare un inevitabile calo degli asset finanziari“, secondo Lance Roberts, economista e strategist di Real Investment Report.
Il problema delle previsioni come quelle fatte da Bill Gross di Janus Henderson in merito a una pronta fine della bolla dei Bond, oltre al fatto che non si sono mai rivelate corrette negli ultimi cinque anni (vedi grafico qui sotto), dice Roberts, “è che si basano sul presupposto che siamo alle prese con un caso isolato di scambio tra classi di asset, tra azionario e obbligazionario”.
Ma non è così: “il rialzo del costo del denaro si diffonderà nell’ecosistema finanziario come un virus” e i guadagni e le perdite di Borsa non avranno molto a che fare con il comportamento dell’americano medio e con la sua partecipazione all’economia nazionale”. I tassi di interesse, si sa, influenzano i pagamenti, pertanto un loro incremento ha un effetto negativo sui consumi, sull’immobiliare e sugli investimenti, tutti fattori che comprometteranno la crescita dell’economia.
Considerano i livelli del debito elevati, la crisi del sistema pensionistico dovuta anche all’invecchiamento della popolazione, i tassi di crescita rimarranno bassi nei prossimi due decenni, secondo le stime di Roberts. “Anche se i tassi non possono scendere più di tanto alle condizioni attuali, non c’è nemmeno troppo spazio di crescita”.
È il motivo per cui gli investitori nei mercati dei Bond dovranno adattare le proprie strategie di trading nell’ottica di un contesto in cui i tassi non subiranno grandi variazioni nel prossimo decennio. Il Giappone, conclude Roberts, è il perfetto esempio di quello che gli Stati Uniti si dovrebbero aspettare nei prossimi anni.