Nessuna decisione di politica monetaria, ma con ogni probabilità una maggiore enfasi nelle parole che Mario Draghi pronuncerà in conferenza stampa sulla forza dell’espansione economica – la più forte in una decade.
Dalla prima riunione del consiglio direttivo della Bce in programma oggi a Francoforte, esperti ed economisti non si attendono dunque novità significative sebbene la pubblicazione delle minute la scorsa settimana avesse in un primo tempo portato a ritenere possibile un cambio alla comunicazione già nella prima riunione del 2018 e provocato un balzo dell’euro sui livelli massimi da tre anni a questa parte.
Proprio il balzo dell’euro, che tratta ieri è salito sopra quota 1,24 sul dollaro, rappresenta tuttavia un motivo in più per calibrare con la massima attenzione ogni qualsiasi modifica al linguaggio della comunicazione Bce, che come Draghi ha ripetuto a più riprese, rappresenta di per sé uno strumento a pieno titolo di politica monetaria.
“Non ci aspettiamo nuove decisioni di politica monetaria da parte della Bce in occasione della riunione di giovedì. Una delle principali conseguenze del rafforzamento dell’euro è l’effetto sulle condizioni monetarie dell’Eurozona, divenute meno accomodanti” ha detto Gero Jung, Chief Economist di Mirabaud AM, aggiungendo che “Con un apprezzamento dell’euro del 2% da inizio anno e rendimenti obbligazionari più elevati, anche nei mercati dei bond sovrani, le condizioni monetarie sono più restrittive.
“A dicembre l’inflazione core dell’Eurozona si è attestata solo allo 0,9%, e un tasso di cambio più forte porta a una riduzione dei prezzi delle merci e dei servizi importati, influenzando negativamente l’inflazione. Un tasso d’inflazione più basso va contro l’obiettivo della Bce e questa è la ragione principale per cui è probabile che l’istituto di Francoforte estenderà il suo programma d’acquisto di titoli oltre settembre 2018. Ciò manterrà la politica monetaria molto accomodante, offrirà un supporto per gli asset rischiosi e impedirà un ulteriore apprezzamento del tasso di cambio, che danneggia le esportazioni”.
Per quanto riguarda infine un possibile aumento dei tassi guida:
“quest’anno è fuori discussione, nonostante il miglioramento dell’attività economica. La debolezza dell’economia resta considerevole e la disoccupazione elevata. In sintesi, è probabile che la Bce rimanga prudente e paziente prima di apportare modifiche significative alla sua politica monetaria”.
S&P: euro forte costringe Bce a essere più colomba del previsto
L’euro forte rovinerà i piani della Bce, che sembrava intenzionata a cambiare la forward guidance e accelerare il processo di normalizzazione di politica monetaria dopo anni di misure ultra accomodanti. Con un tasso di cambio in rialzo e l’euro sopra 1,24 dollari, Standard & Poor’s sostiene che il compito della Bce di favorire un’accelerazione dell’inflazione verso l’obiettivo di un valore vicino al 2%, diventa più difficile. I beni importati costano meno e questo pesa sulle dinamiche di prezzo dell’Eurozona. Sul Forex l’euro scambia sui massimi da fine 2014, prima che Mario Draghi annunciasse il varo del programma di alleggerimento quantitativo QE, e vale il 18% in più rispetto ai minimi di un anno fa.
Le attese di mercato, per un rialzo dei tassi di interesse a inizio 2019 e per qualcuno persino a fine 2018, sono troppo in anticipo rispetto anche a quello che i membri più falchi del board della Bce ritengono sia più corretto. “Se l’euro fosse rimasto sui livelli di inizio 2016, anziché iniziare a rafforzarsi dalla seconda parte del 2017 – fa notare l’analista dell’agenzia di rating Marion Amiot in un report – l’inflazione sarebbe dello 0,7% più alta di quanto non lo sia ora (1,4% a dicembre)”. Significa che i prezzi al consumo si troverebbero non lontani dal target desiderato da Draghi e colleghi.