I pagamenti da un paese all’altro sono cari, costosi e non sempre affidabili. Ripple vuole risolvere il problema, diventando il Bitcoin delle banche. Il piano della società è infatti quello di utilizzare la tecnologia blockchain per creare un circuito di pagamenti elettronici globale per il settore bancario. È da sei anni che l’azienda di San Francisco ha come missione quella di rivoluzionare il sistema delle transazioni finanziarie con quella che definisce la rete “Internet del valore“. Consente di scambiare ‘valore’ in modo tanto rapido quanto avviene lo scambio di informazioni sul Web.
Peccato che gli istituti di credito non siano ancora disposti a fare il grande passo. Ogni giorno tramite le reti bancarie, secondo quanto riportato da Bloomberg, consumatori e società di tutto il mondo effettuano bonifici e versamenti del valore di oltre 76 miliardi di dollari. È un mercato colossale, senza il quale le navi merci rimarrebbero ancorate nei pressi dei porti, i lavoratori non sarebbero pagati alla fine del mese e le catene di produzione non potrebbero funzionare.
I token di Ripple si chiamano XRP. Da settembre a gennaio il prezzo della criptovaluta è cresciuto del 1.300%, molto più dei rivali diretti e più popolari Bitcoin ed Ether. Questi rialzi hanno reso miliardari (almeno virtualmente) i suoi fondatori e dirigenti. Gli XRP sono richiesti perché al contrario dei Bitcoin, sono token con una sola ma ben definita funzione: aiutare le banche a trasferire denaro in un modo più rapido e più economico, specialmente quando si tratta di bonifici da un paese all’altro. A questo è stata concepita, al contrario della altre blockchain, la piattaforma di Ripple, Ripplenet.
Il problema riscontrato sino a questo momento è che le banche non hanno ancora accettato l’idea di usare XRP come strumento per i pagamenti. Soltantoi l’idea che questo possa avvenire e il boom del mercato delle criptovalute sono bastati a spingere in rialzo del 36.000% i prezzi di Ripple nel 2017 (vedi infografica di Coinlist). I manager e gli ex dirigenti di sette banche mondiali hanno fatto sapere a Bloomberg che c’è una possibilità soltanto minima che un giorno si convinceranno a effettuare i pagamenti dei loro clienti usando una criptovaluta.
Ora come ora quello di Ripple “è un token completamente inutile, per il momento serve solo alla società per fare un mucchio di soldi con cui finanziarie le proprie attività”, dice a Bloomberg Joseph Lubin, fondatore della startup ConsenSys, che si occupa di creare app che si basano sulla tecnologia blockchain di Ethereum, piattaforma di Ether.
Ci sono circa 100 miliardi di token XRP in circolazione, e secondo il sito di Ripple, la società madre ne detiene più della metà, 61 miliardi, per un valore di 1,31 dollari ciascuno (i prezzi risalgono alla seduta di giovedì 25 gennaio), pari a 80 miliardi di dollari complessivi. Per evitare di mandare in tilt il mercato, la maggior parte delle criptovalute vengono vendute soltanto in gruppi limitati. Da settembre di due anni fa Ripple è riuscita a vendere token a una somma superiore a $185 milioni.
Oltre che per la velocità con cui possono essere portate a termine le transazioni, la tecnologia blockchain alla base delle criptovalute è apprezzata per la sicurezza e trasparenza che è in grado di garantire. È una sorta di registro di dati aperto, distribuito in modalità diretta “peer to peer” e con il quale si può tenere traccia delle transazioni fra due parti in maniera verificabile e permanente: i dati di un blocco non possono infatti essere modificati retroattivamente e sono sottoposti al controllo continuo degli utenti, un po’ come avviene per i programmi Open Source.
Infografica a cura di Coinlist.me/it/