Di Raffaele Perfetto
In un rapporto del 2016[1] la società di consulenza McKinsey stimava per l’Africa un potenziale d’affari del valore di circa 5 trilioni di dollari. Ovviamente indicava anche le principali sfide da vincere: tra queste, la diversificazione economica, l’integrazione doganale e soprattutto l’integrazione delle reti infrastrutturali (trasporti/energia).
In un mondo che invecchia, l’Africa nel 2034 (stime McKinsey) avrà una forza lavoro superiore alla Cina e all’India: un capitale umano che potrebbe essere il motore di una possente urbanizzazione e di sviluppo manifatturiero. Per realizzare questo miracolo economico, serviranno finanza ed energia.
Anche la Fondazione Enrico Mattei (Feem), in un recente focus sull’Africa Sub Sahariana[2], individua come punto chiave l’integrazione delle reti, insieme allo sviluppo del gas e del rinnovabile. Ogni anno si contano in Africa circa 600.000 morti premature legate essenzialmente all’utilizzo di carbone come combustibile ad uso domestico. E si registrano, inoltre, 540 ore annue in media di mancata alimentazione elettrica (ove disponibile). Secondo la Feem, il gas competerebbe con il carbone (non con il rinnovabile) per migliorare le condizioni di vita della popolazione subsahariana. Altro punto importante, secondo la Feem, è la “solvibilità” dei clienti e quindi il modello di business da adottare per fare quadrare i conti.
Sul fronte Africa/Rinnovabili, la Bloomberg riferisce, fra l’altro, di 1.8 miliardi di dollari di investimenti attratti dall’Egitto per un parco solare e di un aggiornamento del sistema tariffario per attrarre ulteriori investimenti,da realizzare entro il prossimo anno.
Il rapporto tra Cina e Africa
Negli ultimi 15 anni, la Cina ha investito pesantemente in Africa, soprattutto nel settore manifatturiero, nelle infrastrutture e ultimamente anche in ambito minerario. Il Financial Times[3] fa la classifica dei 10 Paesi con maggiori investimenti cinesi. In più della metà di questi Paesi, l’Italia (e quindi l’Europa) hanno stabili e solidi interessi economici. Sempre il Financial Times[4] conferma che nel 2016, per quanto riguarda il capitale investito in Africa, l’Italia, con circa 4 miliardi di dollari, è il primo Paese europeo, il quarto in assoluto, mentre la Cina è la prima con oltre 36 miliardi.
A partire dal 2009, l’interscambio commerciale Cina/Africa ha superato quello Usa/Africa: mentre gli Usa soffrivano la crisi finanziaria, la Cina stava invece benissimo. Nell 2017 l’interscambio commerciale Cina/Africa raggiungerà circa i 150 miliardi di dollari, tre volte quello Usa/Africa.
Nel 2017 la Cina ha inoltre ottenuto in Africa un altro risultato ato importante: a Gibuti[5], realizza la prima base militare fuori dai suoi confini. Era dal 1958 (allora in Nord Corea) che la Cina non aveva una base fuori dai propri confini. Gli Stati Uniti, per tutta risposta, hanno finanziato[6] una pipeline di circa 550 km, realizzata dal gruppo Blackstone, per il trasporto di prodotti petroliferi tra l’Etiopia e Gibuti.
Edward Luce, giornalista del FT, nel suo ultimo libro[7], sulla crisi delle democrazie liberali, offre un’interessante prospettiva: la Cina sta assumendo/assumerà un ruolo in Africa simile a quello che l’Occidente ha avuto nei suoi confronti negli ultimi anni. Dal momento che la classe media cinese si sta creando/espandendo e i salari cinesi vanno aumentando, ci sarà anche un aumento della domanda di lavoro a basso costo. Potrebbe essere la prossima ondata di globalizzazione.
Sempre il FT[8] analizzava in agosto l’aumento dei salari in Cina, ponendolo tra le cause principali della riduzione dell’ondata migratoria cinese in Africa a partire dal 2015.
Possibili prospettive per l’Italia e l’Europa
Il ruolo strategico che l’Europa (attraverso l’Italia) può assumere in Africa con la Cina è indubbio: l’Italia potrebbe essere il partner cinese ideale, per geografia, storia e interessi .
Nei corsi di Business Administration (Mba) si parla spesso di paradossi strategici: in questo caso, quello di Cooperation/Competition calza a pennello. Infatti, se pensiamo al famoso orologio di Bowman, ci rendiamo conto di come la cooperazione sia possibile fin tanto che i prodotti italiani, percepiti ad alto valore dai mercati, si muovono tra le posizioni 3/5 dell’orologio. In maniera complementare, i prodotti cinesi possono muoversi tra la posizione 1/3. Fin qui tutto va bene.
I problemi possono sorgere quando si decide di competere: o i prodotti italiani perdono valore percepito o quelli cinesi lo acquistano. Non possiamo prevedere il futuro ma possiamo dire che il piano industriale Industria 4.0 concepito dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda abbia tra gli obiettivi anche quello di indirizzare l’industria italiana nella direzione dell’alto valore aggiunto.
La Cina ci crede. Tanto è vero che State Grid Corporation, colosso cinese elettrico (con un fatturato oltre i 300 miliardi di euro), ha acquistato nel 2014 il 35 % di Cassa Depositi Prestiti CDP – Reti [9], la quale a sua volta partecipa con circa il 30% Snam, Italgas e Terna. E, come abbiamo detto chiaramente all’inizio, servono le reti per il ‘miracolo economico’ africano.
Parlando di miracoli, viene da ricordare il peso in Africa della Santa Sede, presente in più della metà dei Paesi in cui l’Impero Celeste sta investendo. Del soft power e delle sinergie tra Italia e Vaticano parlava un recente numero della rivista di geopolitica Limes [10]. Un soft power e delle sinergie più che mai attuali dopo il 1989 e la fine del sistema bipolare Usa –Urss.
In Africa si potrebbe ridurre la povertà e gettare le basi per future robuste democrazie, impossibili senza la classe media. Come direbbe Confucio: “Se pensi in termini di anni, pianta un seme; se pensi in termini di decenni, pianta alberi; se pensi in termini di secoli, insegna alla gente”.
(L’autore ringrazia R. Melillo per il supporto in fase di editing)
[1] https://www.mckinsey.com/global-themes/middle-east-and-africa/lions-on-the-move-realizing-the-potential-of-africas-economies
[2] http://www.feem.it/en/publications/briefs/renewables-and-gas-what-mix-to-solve-sub-saharan-africa-s-energy-access-challenge/
[3] https://www.ft.com/content/0f534aa4-4549-11e7-8519-9f94ee97d996?mhq5j=e5
[4] https://www.ft.com/content/788ea670-92f7-11e7-bdfa-eda243196c2c?mhq5j=e5
[5] https://www.ft.com/content/bcba2820-66e1-11e7-8526-7b38dcaef614?mhq5j=e5
[6] https://www.ft.com/content/d9fa7e22-7ff0-11e6-bc52-0c7211ef3198?mhq5j=e5
[7] https://www.nytimes.com/2017/06/19/books/review-retreat-of-western-liberalism-edward-luce.html
[8] https://www.ft.com/content/7106ab42-80d1-11e7-a4ce-15b2513cb3ff?mhq5j=e5
[9] http://www.cdpreti.it/
[10] http://www.limesonline.com/cartaceo/perche-ci-serve-il-vaticano?prv=true