Economia

Italia: quante assurdità fiscali

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di Lorenzo Raffo

I lettori di Wall Street Italia chiedono modifiche a norme quanto meno irragionevoli che colpiscono ancora molte aziende e investitori

Anche i nostri lettori hanno richieste da fare a chi governerà l’Italia nella prossima legislatura, soprattutto sul delicato tema del fisco. Cominciamo dal caso segnalato da un commercialista che denuncia una situazione assurda venutasi a creare nel settore immobiliare, ma non solo. Gli intermediari sono costretti a compilare una scheda di valutazione del rischio dei clienti. Questa la sua opinione:

Lo Stato non è più in grado di fare il suo lavoro di controllore e repressore delle illegalità tributarie e ribalta tale funzione sui privati imprenditori a diretto contatto con il mercato. Ha senso per esempio la scheda di valutazione per chi è attivo nella compravendita di immobili? In essa vanno riportate delle considerazioni assolutamente soggettive. Si chiede di precisare la ‘prevalente attività svolta dal cliente tenendo conto di modalità operative, struttura e mezzi impiegati’.  Primo: chi ha scritto questa frase cosa voleva dire? Lascia infatti spazio a varie interpretazioni.  Secondo: di fatto si intende una verifica se le transazioni hanno comportato pagamenti in contanti o investimenti a prezzi anomali. Non mi sembra che un simile riscontro spetti a un privato.

E che ci sta allora a fare l’Agenzia delle Entrate? Che ruolo compie il notaio, che è comunque un pubblico ufficiale al quale lo Stato affida il potere di attribuire pubblica fede, cioè il valore di prova legale, agli atti che stipula? No, deve essere magari il giovane impiegato di un’agenzia immobiliare a insospettirsi di una situazione a rischio! Ma non c’è solo questo. Si chiede anche di esaminare il comportamento tenuto al momento dell’operazione. Si specifica: ‘comportamento anomalo, ovvero reticente, omissivo o poco collaborativo’. Quindi bisogna trasformarsi in psicologi, operando fra l’altro su un lungo periodo, perché una transazione immobiliare può durare mesi e svolgersi con evoluzioni del rapporto fra agenzia e cliente, positive o negative. È un’assurdità, che espone però chi non dovesse attenersi al compito a pene pecuniarie tali da rovinare una piccola e media agenzia. E infine la ciliegina: si chiede l’area geografica di residenza del cliente e si specifica, fra le opzioni, quella di ‘Paese a rischio’. Senza precisare quali siano gli strumenti e i parametri di valutazione? La Svizzera è un Paese a rischio e la Turchia no? L’Argentina sì e la Norvegia no? Credo che qualunque persona seria comprenda l’irragionevolezza di obblighi di questo tipo”.

ETF non armonizzati

Un assiduo Bastian contrario ci scrive in relazione alla tassazione degli ETF. Ecco cosa afferma:

“So benissimo che il problema interessa pochi, ma ritengo che questo sia un errore. Seguo da anni gli ETF quotati a Wall Street, di fatto non armonizzati. Li compro attraverso una Sim che applica ai ‘redditi da capitale’ una ritenuta a titolo di acconto del 26%, ma tali plusvalenze devono poi essere indicate in sede di dichiarazione dei redditi e assoggettate ad aliquota marginale. Sui redditi diversi, invece, l’intermediario applica un’imposta sostitutiva del 26% e tali redditi non vanno indicati in sede di dichiarazione dei redditi. Una situazione molto complessa, che ha portato il mio commercialista a consigliarmi di non operare su tale mercato, sebbene si tratti di un mondo vastissimo nel quale c’è di tutto. Mi domando quale legislatore o estensore di norme abbia deciso in tal senso! Se io acquisto un’azione a Wall Street vengo trattato fiscalmente come se avessi operato sulla Borsa di Milano. Perché per gli ETF non vale la stessa cosa? Qualcuno vuole correggere una simile anomalia, favorevole solo agli emittenti e a Borsa Italiana e retaggio forse di anni in cui la globalizzazione dei mercati era pura teoria?”.

Telefonate registrate

C’è un aspetto che non piace proprio della Mifid2, di cui pochi parlano, ma che ha sollevato reazioni da parte di alcuni Bastian contrari. È quello della registrazione delle telefonate, sebbene adottata in maniera differente dagli operatori finanziari. Abbiamo due reazioni al proposito e collegate proprio all’aspetto fiscale. La prima ricorda come ciò esponga ulteriormente a eventuali controlli. Sostiene un Bastian contrario al proposito:

Se io parlo con un mio consulente e mi lascio andare a frasi che potrebbero essere male interpretate da terzi – per esempio dal fisco – cosa succederebbe? Mia moglie è cittadina tedesca e capita spesso che io chieda delucidazioni sulla convenienza o meno di operare acquisti in Italia o in Germania. Dovrei in teoria precisare ogni volta la nostra particolare situazione per non essere considerato soggetto che detiene capitali non dichiarati all’estero? Non capisco la relazione fra questa nuova prassi e la Mifid”.

La stessa preoccupazione è espressa da un banker, il quale ricorda

“che in Gran Bretagna si è alzato un polverone contro l’obbligatorietà della registrazione delle conversazioni fra clientela e consulenti. Alcuni ‘private’ l’hanno adottata in Italia ma chi chiama è sufficientemente informato sulla prassi e sui rischi che comporta? Credo proprio di no”.

Anche i morti pagano

Un pensionato attivo nella ricerca delle mille assurdità di un’Italia che affoga nella burocrazia e nelle tasse ci scrive:

“Di recente ho avuto un lutto in famiglia e mi sono reso conto solo allora che anche da morti si paga! Cosa? La tassa per il rilascio del certificato di constatazione di decesso, il diritto fisso sul trasporto dei defunti, la tassa sui cimiteri e quella sulle cremazioni che si chiama, con caratteristico linguaggio burocratico itaiano: imposta di bollo sulla domanda di affido delle ceneri e della loro dispersione. Ma c’è di peggio. Ogni comune ha la possibilità di riadeguare l’imposizione fiscale e quindi si assiste al diffondersi di prassi quanto meno assurde. Credo che un Paese serio dovrebbe smetterla con queste follie e spero che il prossimo Parlamento (ma ne dubito!) intervenga almeno su una parte di simili sconcezze fiscali. Visto che un cittadino – almeno si presume – ha pagato tasse per tutta la vita si potrebbe cessare di tartassarlo anche dopo la sua scomparsa. Ed esattamente per lo stesso motivo mi esprimo pure a favore dell’abolizione delle imposte di successione. Basterebbe dimostrare che quanto lasciato agli eredi (almeno alla moglie e ai figli) deriva da redditi di ogni tipo già assoggettati a imposizioni fiscali perché scattasse l’esenzione. Pagare una volta sì, ma due proprio no!”.