a cura di Aipb
Il ritorno della volatilità ha colto molti di sorpresa. Theo Delia-Russell, professore all’università Cattolica spiega come il rischio debba essere definito a priori nei portafogli e non gestito successivamente
Prof. Delia-Russell sui listini è tornata la volatilità. Come reagiscono i clienti private?
“Il ritorno della volatilità li ha presi di sorpresa, non ci erano più abituati. Hanno cominciato a essere assillati dai dubbi, a chiedere se quanto accade sui mercati è normale. Il problema è che c’è stato un lungo periodo di bassa volatilità durante il quale gli investitori hanno abbassato la guardia e le protezioni nei loro portafogli. Mi riferisco in particolare alle strategie non direzionali, che non seguono il trend di mercato e proteggono durante le fasi ribassiste. I clienti dovrebbero capire che le strategie non direzionali sono un’assicurazione nei momenti di correzione dei mercati e non solo un costo nelle fasi in cui tutto va bene”.
Chi dovrebbe spiegarglielo?
“Il cliente deve essere educato a guardare in maniera meno emozionale alla performance di breve periodo e a focalizzarsi invece su orizzonti temporali lunghi. In questo il ruolo del banker è importante. In Italia c’è la tendenza a incontrare spesso il cliente ma nella maggior parte dei casi si tratta di meeting più relazionali che tecnici. Fa parte anche questo del lavoro del professionista ma credo che quando ci si incontra con il cliente si debba analizzare la performance del portafoglio molto più in profondità di quanto non si faccia. Magari programmare meno incontri ma più lunghi e tecnici. Solo spendendo un paio di ore consecutive con il cliente si riesce a fargli comprendere le dinamiche del portafoglio e la bontà di una gestione che guardi al lungo periodo. È faticoso, sia per il banker che per il suo cliente, ma nel lungo periodo è premiante”.
All’estero la situazione è diversa?
“Negli Usa, un mercato finanziario molto più maturo che ci precede di una decina di anni in termini di cultura finanziaria, il cliente firma un documento di investment policy che contiene un obiettivo di rendimento su un orizzonte temporale definito. L’analisi della performance e l’eventuale rivisitazione della strategia viene pianificata ogni sei mesi o ogni anno, o solo se si verificano scostamenti significativi da quanto pianificato. Inoltre, prima di impostare un portafoglio, si parla della massima perdita che si potrebbe verificare. In questo modo si rende il cliente consapevole. Spesso in Italia non si mette lo stesso accento sulla massima perdita, né si fanno simulazioni su come il portafoglio si comporterà in differenti scenari di mercato. Poi ci sono le università, che negli Usa svolgono un ruolo importante in quanto organizzano dei corsi di finanza per le famiglie, destinati a clienti con patrimoni significativi. Oltreatlantico sanno che insegnare ai clienti a capire ciò che gli viene proposto dalle banche è importante. Magari, sulla spinta della Mifid, ci si arriverà anche in Italia”.
Che ruolo gioca in questo passaggio la Mifid2?
“La Mifid ha fatto una grande battaglia su costi e trasparenza. Ben venga, ma non sono i minori costi quelli su cui si costruisce una performance di portafoglio in mercati volatili. Tutti continuano a guardare alla Mifid in termini di trasparenza ma quello che dice la normativa è che va continuamente monitorata la coerenza del portafoglio di investimento con gli obiettivi del cliente, obiettivi che il consulente deve aiutare a chiarire”.
Nella gestione del rischio come potrebbero muoversi i private banker nel nuovo scenario?
“In uno scenario dove la volatilità tornerà a essere una normale componente dei mercati il rischio, più che gestito, va impostato nella struttura iniziale dell’investimento e manutenuto nel tempo. Mettere dei paletti, chiariti preventivamente con il cliente, diverrà utile quando successivamente ci si troverà ad affrontare situazioni di difficoltà sul mercato”.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di marzo del mensile Wall Street Italia