E’quasi passata inosservata nella stampa europea, concentrata sull’ingresso dei dieci nuovi paesi nell’Unione, la creazione dell’area di libero scambio fra il Cile, gli Stati Uniti e, di conseguenza, la North Atlantic Free Trade Area, quella che comprende già Messico e Canada.
L’accordo è stato firmato da Bush, dopo due anni di negoziati, per settori che vanno dall’agro-alimentare alla pesca fino alla carta, in cui si
concentra l’export cileno, ai computer, al macchinario pesante e alle auto, che sono invece le principali esportazioni degli Stati Uniti verso il Cile.
Per l’85 per cento dell’interscambio le barriere doganali sono state già abrogate, per il rimanente 15 per cento saranno abolite nello spazio dei prossimi 12 anni.
L’accordo riguarda anche la protezione della proprietà intellettuale (che, negli Usa, preme particolarmente alle imprese di tecnologia avanzata) e gli standard di protezione ambientale. Ma, nel protocollo di intesa c’è anche un vasto capitolo dedicato al lavoro minorile e ai cosiddetti lavori a rischio, due temi non facili nei rapporti fra i paesi sviluppati e quelli ancora in via di sviluppo.
Il Cile è un piccolo paese. Ma questo accordo, che di fatto lo equipara al Messico e al Canada, è il banco di prova per un futuro accordo con il Brasile, il cui presidente Lula ha già creato con Bush un asse privilegiato. Fra Cile e Usa è stata fissata non solo la libera circolazione delle merci e delle persone, ma anche quella dei capitali investiti. In più il Cile potrà chiedere a Washington, in casi d’emergenza, controlli sui flussi finanziari con l’estero. L’obiettivo principale è la stabilizzazione. In Messico, dove
ormai operano le banche spagnole e nordamericane come se si trattasse di uno Stato degli Usa, l’area di libero scambio rappresenta un freno alle crisi valutarie perché di fatto aggancia la moneta locale al dollaro e genera la circolazione di entrambe le monete.
La nuova frontiera degli Stati Uniti continua a spostarsi dunque verso il Sud, lasciando a ciascun paese le sue istituzioni, senza un organismo politico sopranazionale di armonizzazione. Un modello diverso da quello europeo, forse addirittura un contraltare, che l’Europa però non potrà trascurare.
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