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Stress liquidità: le società più vulnerabili

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Oltre ai venti di guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, a preoccupare i mercati finanziari continua a essere l’ampliamento dello spread tra Libor e OIS, ritenuto un indicatore dello stato di salute dell’attività creditizia. In un’analisi pubblicata il primo aprile, gli analisti di Goldman Sachs scrivono che un allargamento di 35 punti base potrebbe aumentare il costo per gli interessi di 21 miliardi di dollari. Resta da vedere quale sarà l’impatto sui mercati e sull’economia di un tale stress creditizio.

Se la Federal Reserve non ha fatto male i suoi calcoli, lo stress di liquidità, sempre secondo la banca d’affari Usa, l’andamento del differenziale non dovrebbe avere un impatto sistemico sul settore finanziario o sull’economia. L’analista di Goldman Sachs Ben Snider scrive che per l’azionario nel suo complesso, “l’incremento del costo del denaro pone un rischio da ritenere soltanto modesto”.

A temere maggiormente una simile eventualità, sono i titoli azionari con un tasso del debito elevato: sono queste azioni ad aver fatto più fatica nel contesto attuale, ossia “in risposta al crescente costo del denaro”. Questi gruppi potrebbero fare particolarmente fatica, avverte la banca, nel caso di un’ulteriore stretta di liquidità e di un nuovo incremento degli interessi.

È uno scenario da mettere in conto, “a meno che la Federal Reserve non decida di invertire completamente rotta nella sua strategia di politica monetaria”, per via di un indebitamento eccessivo delle aziende in concomitanza con condizioni finanziarie difficili.

Anche se molti commentatori di mercato hanno sminuito l’allargamento del differenziale tra il tasso interbancario inglese e lo swap OIS, non va sottovalutato, memori di quello che diceva l’ex presidente della Fed Alan Greenspan, il quale una volta ha definito lo spread “il barometro della paura di insolvenza nel settore bancario“.

In special modo per quelle società con un debito circolante elevato, il cui andamento in Borsa ha rispecchiato solitamente l’oscillazione accentuata nel costo del denaro a breve termine. È evidente se si guarda al grafico delle 50 società quotate sull’indice S&P 500 che hanno un debito in circolazione (legato quindi al Libor) pari a più del 5% del totale dei Bond.

Escludendo finanziari e titoli del settore immobiliare, sono presenti tutti i comparti salvo quello delle telecomunicazioni. Per ora nel 2018, con i tassi di interesse a breve che sono saliti e la curva dei rendimenti che si è appiattita, i titoli in questione hanno registrato una prova di 320 punti base inferiore a quella del mercato generale (S&P 500).

In questo momento il gruppo scambia a uno sconto del 10% rispetto alla mediana dell’S&P 500 in termini di rapporto tra prezzo di Borsa e stime sugli utili (16 volte contro 17,6). Sono nomi che dovrebbero fare fatica nel caso in cui i tassi di interesse dovessero continuare a salire, ma che al contempo potrebbero diventare un investimento interessante se invece i timori di credit crunch dovessero assopirsi.