di Benedetta Gandolfi
Negli ultimi 12 mesi è continuato il processo di aggregazione del private banking in Italia e si sono rafforzati soprattutto i primi dieci gruppi bancari, protagonisti di alcune acquisizioni
Il 2017 è stato l’anno delle concentrazioni per il mercato italiano del private banking. Qualche esempio? Carige ha deciso di incorporare Banca Cesare Ponti, per sviluppare il segmento private e valorizzare un marchio che era caduto nel dimenticatoio.
E anche le reti specializzate nelle gestioni d’alta gamma sono in fermento. Banca Generali si prepara a nuove acquisizioni e Azimut continua il suo impegno nella crescita per linee esterne all’estero. Tra le banche commerciali Intesa Sanpaolo, che ha già da un paio di anni sistemato il business del private banking creando il maxi polo Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking, si arricchirà a breve delle nuove masse, stimate attorno a 5 miliardi, portate in dote dal private banking di Banca popolare di Vicenza (attorno a 3 miliardi) e di Veneto Banca (circa 2 miliardi).
Stesso discorso per Ubi Banca che si è aggiudicata Banca Marche, Banca Etruria e Carichieti, le tre banche salvate che, nelle gestioni d’alta gamma, avevano qualche miliardo di asset in gestione. C’è stato poi il matrimonio tra Ersel e Albertini Syz, con la prima che nel corso dei prossimi mesi perfezionerà l’acquisizione della quota di maggioranza della storica casa milanese fondata da Isidoro Albertini. Oggi, su un mercato dominato dai money manager globali, Albertini-Syz ed Ersel, sotto la guida dei figli, continuano a detenere portafogli importanti e il matrimonio darà vita al più grande gruppo italiano indipendente del settore. Ersel, ancora controllata al 100% dalla famiglia Giubergia, rileverà il 64,3% di Albertini Syz dal Gruppo Syz, svizzero, che aveva in passato rilevato il controllo della casa milanese. Alberto Albertini manterrà l’attuale quota del 35,7%. Il dossier aveva riscontrato l’interesse anche da parte di altre realtà (si è parlato di Crédit Suisse, Banca Profilo e Cassa Lombarda) ma alla fine ha avuto la meglio l’offerta torinese. In parallelo un’altra grande operazione ha visto il private banking di Bpm e di Banca Akros confluire in Banca Aletti, la banca dedicata a pb e wealth management del Banco Bpm, nato a gennaio del 2017 dalla fusione tra Bpm e Banco Popolare. Aletti è un altro nome storico della finanza italiana, finito nel 2000 in Bpv-Bsgp, ora sotto l’ombrello di Banco Bpm. Stefano Aletti, discendente degli agenti di cambio che hanno fondato il brand, nel 2016 è uscito da Banca Aletti, per finire in Albertini Syz. S’è portato via molti clienti e i loro corposi portafogli.
Alla ricerca di sinergie. “È stato un forte processo di concentrazione anche nel 2017, dopo un 2016 contrassegnato da importanti fusioni e acquisizioni”, racconta Marco Mazzoni, presidente di Magstat, società con sede a Bologna che ogni anno produce un report dettagliato “Il Private Banking in Italia”. Il settore è in tale fermento che in pochi mesi le classifiche sulle masse in gestione sono state rivoluzionate.
Le fusioni, insieme alla tecnologia, sono le due armi che i wealth manager hanno per combattere il crollo dei profitti, che in un anno hanno segnato, nel mercato globale occidentale un rosso di più del 10%, come fa sapere un recente report di McKinsey. Ci vogliono le sinergie e la massa critica. In questo scenario si inserisce la rivoluzione in atto all’interno di Mediobanca, con un piano industriale che fa perno sulla gestione del risparmio e il wealth managment. In Piazzetta Cuccia è stato avviato il rilancio delle fabbriche prodotto che già esistono, che sotto il marchio Mediobanca Sgr, guidata da Emilio Franco, riorganizzerà Duemme Sgr. A dicembre è stata perfezionata la fusione di Banca Esperia in Mediobanca facendo nascere il brand Mediobanca Private Banking, per presidiare la fascia alta di mercato. La nuova divisione Private & High Net Worth Individual (Hnwi) si dedicherà allo sviluppo delle attività private di Compagnie Monégasque de Banque e Mediobanca Private Banking oltrechè alle le attività di multi-family office di Spafid. Alla base di tutta la filiera, si posiziona Che Banca! che si dedicherà alla gestione del risparmio per il segmento affluent & premier anche grazie a una nuova rete di consulenti finanziari guidata da Duccio Marconi che ha lascito il Credem per approdare a Milano
Un gioco per grandi. “Nel nostro Paese si sono rafforzati soprattutto i primi dieci gruppi bancari, che sono stati i protagonisti di alcune acquisizioni di good bank e di conseguenza delle loro divisioni private banking. La loro quota di mercato è destinata a crescere anche alla luce delle operazioni appena concluse”, aggiunge Mazzoni.
Si crea valore, poi, con le operazioni che hanno messo insieme realtà più frammentate. Ubi Banca ha inglobato Nuova Banca delle Marche, Nuova Banca Etruria e del Lazio, Banca Federico del Vecchio, Cassa di Risparmio di Chieti.
E, con loro, le divisioni di gestione di ricchi portafogli. Bper ha comprato la Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara. Crédit Agricole Italia ha acquisito Cassa di Risparmio di San Miniato, Cassa di Risparmio di Cesena e Cassa di Risparmio di Rimini. Crédit Agricole private banking era sbarcata a Milano nel 2014, l’anno dopo aveva strappato a Deutsche Bank l’uomo chiave del private banking e del wealth management, Luca Caramaschi, nominato direttore generale di Ca Indosuez Wealth Management, la divisione italiana di Crédit Agricole pb destinata alla gestione dei grandi patrimoni. E Indosuez Wealth Management ha rilevato Banca Leonardo, confermando l’interesse espresso in passato dai vertici della controllante Crédit Agricole per il mercato italiano. A fine ottobre era stato raggiunto un accordo per la cessione del 68% di Banca Intermobiliare, da tempo messa in vendita dai commissari liquidatori di Veneto Banca, a Trinity Investments Designated Activity Company, società di investimento che fa capo alla londinese Attestor Capital.
E l’elenco si allunga ancora andando indietro, con il conferimento a Banca Patrimoni Sella del ramo di wealth management di Schroders in Italia, che in cambio ha rilevato una quota dell’istituto piemontese. “Accanto alle grandi banche commerciali si rinforzano le divisioni private banking anche delle banche di credito cooperativo, a loro volta interessate da processi di fusione come anche le cosiddette Raiffeisen”, precisa Mazzoni. È bene infatti ricordare che a inizio 2017 Emil Banca e il Banco Cooperativo Emiliano hanno dato vita a una delle più grandi Bcc d’Italia: 84 filiali, 137 mila clienti, oltre 700 dipendenti e un territorio di competenza che si estende su sei province, cinque in Emilia e una in Lombardia. mentre è stata varata l’incorporazione della Banca di Forlì nella Bcc Ravennate e Imolese, dando vita alla Bcc Ravennate, Forlivese e Imolese. “Uno dei motivi principali a margine di questi movimenti, sta nella dimensione di queste strutture di private banking: si tratta di piccole realtà spesso con asset in gestione di 2-3-5 miliardi di euro”.
“Cifre troppo basse per affrontare le enormi spese per i vari adeguamenti che l’arrivo di Mifid 2 ha comportato”, dice ancora Mazzoni. La direttiva Mifid2, del resto, produce una forte pressione al ribasso delle commissioni. Sotto i 2-3 miliardi di asset in gestione si fa fatica a stare sul mercato.
E poi c’è da fare i conti anche con i bassi tassi d’interesse che producono un’oggettiva difficoltà a incassare performance sui profili di rischio meno elevati, e di questi tempi molti clienti preferiscono rimanere assai prudenti. Sopravvivere da piccoli private banker è sempre più difficile, e secondo alcuni il taglio minimo degli asset under management non dovrebbe essere inferiore a una decina di miliardi, se si ha in mente una gestione industriale.
La parte del leone, ovviamente, continuano a farla sempre le banche, sul fronte del private banking. Il gruppo Intesa Sanpaolo è prima con uno stock di 145,7 miliardi di euro nel 2016 e una quota del 16,8 per cento sul totale. Il gruppo Unicredit è secondo con 109,2 miliardi di stock e una quota del 7,4 per cento. Banco Bpm terzo con 43,8 miliardi di stock e una quota sul totale del 5%.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di marzo del mensile Wall Street Italia