di Sandra Riccio
Dopo le banche e le pietre allo sportello, adesso è la volta di Internet. Ai risparmiatori promettono guadagni anche del 7%, ma le ombre sono tante
Da bene rifugio a trappola per gli investitori. Il caso dei diamanti venduti in banca, a prezzi gonfiati, ha acceso un faro sui rischi legati all’acquisto di queste pietre preziose. Lo scorso ottobre, l’Antitrust ha multato per più di 15 milioni di euro due società venditrici di diamanti (Idb e Dpi) e quattro istituti di credito (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mps e Banco Bpm) che ne hanno venduto le pietre a ignari clienti a valutazioni di partenza molto più elevate di quelle di mercato.
L’operazione di acquisto era stata proposta senza informare i clienti dei rischi reali e delle possibili difficoltà nel rivendere i preziosi acquistati. Alcuni di questi istituti, e in particolare Intesa Sanpaolo e Unicredit, hanno iniziato a restituire i soldi ai risparmiatori. Nella vicenda sono rimasti coinvolti oltre 100mila italiani che avevano puntato sulle pietre fisiche vendute in banca. Tra questi ci sono anche molti piccoli risparmiatori. Secondo gli esperti, chi si è fidato ha perso almeno la metà del valore inizialmente investito.
“I prezzi erano gonfiati – spiega Giuseppe D’Orta, responsabile per la tutela del risparmio di Aduc -. Ed è quello che ha dimostrato l’Autorità antitrust”.
I diamanti in Internet.
Non ci sono solo i diamanti in banca. Se questa vicenda ha fatto molto parlare, nell’ombra rimane il fitto sottobosco di operatori che propongono le pietre preziose in rete. In genere offrono diamanti da investimento ma c’è anche la formula del gioiello per chi è a caccia dell’”affare” imperdibile. C’è n’è per tutti i gusti e per tutte le tasche dato che a questo tipo di formula ci si può avvicinare anche con poche migliaia di euro. Quasi sempre le pietre sono offerte con le adeguate certificazioni e con la promessa di una rivalutazione sicura (anche del 7% annuo). Certo, tra questi broker ci sono operatori seri e senza ombre. Tuttavia sono molti i dubbi su tante di queste strutture in Internet che si presentano anche su piattaforme molto popolari, come eBay.
Sul fronte delle strutture nel web è già intervenuta più volte Consob. Negli ultimi anni ha sospeso e in alcuni casi vietato l’attività di diversi siti dedicati al trading in diamanti. L’Autorità di vigilanza di Borsa ha agito, per esempio, nei confronti di PayDiamond e di Diamond Trading. Le possibilità di intervento dell’Autority sono tuttavia limitate a poche ipotesi. Può infatti intervenire solamente in caso di offerta abusiva, vale a dire priva delle autorizzazioni del caso, e a condizione che la proposta del sito si configuri come prodotto finanziario. L’offerta di diamanti, può assumere le caratteristiche di offerta di un prodotto finanziario se siano esplicitamente previsti, anche tramite contratti collegati, elementi come ad esempio promesse di rendimento, obblighi di riacquisto, realizzazione di profitti ovvero vincoli al godimento del bene.
Le brutte sorprese.
L’attività di compravendita di diamanti esiste da secoli. Ha un suo fascino e riporta indietro nel tempo. Resta il fatto che è molto difficile valutare con certezza la pietra che si ha davanti. Tante volte può addirittura trattarsi di un falso. I casi di brutte sorprese si ripetono. In Francia, proprio in questi giorni, il tema tiene banco sui media. Qui oltre 700 famiglie sono finite nella grande truffa dell’investimento in diamanti online.
Il caso è esploso nel 2017 ma le vittime parlano solo ora. La frode dei diamanti in Internet è lavoro quotidiano da due anni per la cellula di Tracfin, l’antiriciclaggio francese. Al centro dell’ingranaggio un’entità finora inafferrabile ma dal nome evocativo di ricchezze esclusive, “Vendome Tradition”. Attorno, a raggiera, operavano siti internet dai nomi altrettanto illusori: “Diamantin”, “Traditiondiamant”, “Boursedesdiamants”.
Il principio della truffa è quello di risucchiare i risparmi di chi spera di moltiplicare la liquidazione o di trasformare il salvadanaio in cassaforte, accumularli, dare qualche “gadget” ai “veterani” con i soldi degli ultimi entrati, poi far sparire i soldi in conti di società fittizie in Gran Bretagna, Belgio e Israele.
Colette, una delle truffate, ha raccontato di aver affidato tutti i suoi soldi, 250 mila euro, a una di queste società. Salvo poi non riuscire più a comunicare con chi aveva in custodia i suoi soldi: telefoni staccati, intermediari spariti nel nulla. Il copione è analogo anche per altre centinaia di persone. Prima l’illusione, poi il brutto risveglio e la consapevolezza di aver perso i risparmi di una vita.
La trappola dei prezzi.
“I diamanti da investimento sono un’illusione che può costare cara – dice un esperto della materia, da molti anni sul campo -. È molto difficile riuscire a portare a casa dei guadagni perché le pietre sono quasi sempre vendute a prezzi più alti di quello che è il loro reale valore”.
Ed è quello che è accaduto nel caso dei diamanti proposti agli sportelli bancari. Occorre poi guardare con attenzione alle certificazioni. Anche qui bisogna avere l’esperienza adatta. È comunque sempre opportuno affidarsi a degli operatori qualificati e magari da tempo sul mercato. Meglio evitare le improvvisazioni. Tante volte è successo che chi ha sborsato i soldi si è poi ritrovato con dei pezzi di vetro in mano. In ogni caso è di fondamentale importanza che i potenziali acquirenti siano informati che si tratta di investimenti che possono presentare rischi non immediatamente percepibili. La Consob richiama, quindi, l’attenzione del pubblico su tale circostanza e sulla necessità di prestare la massima cautela nell’effettuare tali operazioni. La Commissione raccomanda inoltre di attenersi sempre alla regola generale di considerare l’adesione a proposte contrattuali solo quando se ne abbia un’adeguata comprensione e solo quando siano assistite da una documentazione chiara e completa.
Sulle quotazioni c’è poca trasparenza.
Non tutti sanno che soltanto la “punta” del diamante, vale a dire i diamanti di massima qualità, diventa da investimento. Si parla di meno del 2% del 20% del tagliato complessivo e non ha nulla a che vedere con le pietre da montare sui gioielli, che presentano caratteristiche meno eccellenti. In più, a differenza dell’oro, che è quotato continuamente, il diamante non ha fixing. Vuol dire che è difficile avere certezze sul prezzo sia di acquisto, sia di vendita. Le variabili che determinano il prezzo di un diamante sono poi molteplici e, anche a parità di caratteristiche (forma, peso, colore, purezza, taglio, fluorescenza e certificazione internazionale), le quotazioni alla vendita sono suscettibili di variazioni anche sensibili.Gli stessi istituti di certificazione internazionale indipendenti assegnano un “voto” e non un valore monetario alle pietre perché, delle caratteristiche che esaminano, solo il peso è misurabile e oggettivo. Le cosiddette ‘4C’ (cut/taglio, color/colore, clarity/purezza, carat/peso) possono combinarsi in 16.000 modi diversi! Il risultato è che qualsiasi valutazione è, in certa misura, soggettiva.
Un altro aspetto critico è legato alla liquidabilità del diamante da investimento. Questo perché il mercato dei diamanti lo fanno i produttori e i distributori. Occorre quindi che la società di intermediazione si impegni al riacquisto in tempi brevi e determinati. È quello che in effetti promettevano Idb e Dpi, le due società dello scandalo “diamanti allo sportello di banca” che da sole controllano oltre il 70% del mercato in Italia. Soltanto che la forte attenzione mediatica sulla vicenda ha bloccato gli ingranaggi e reso l’investimento difficile da liquidare.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di aprile del mensile Wall Street Italia