Nel 2016 i fondi indirizzati verso investimenti sostenibili hanno gestito 12mila miliardi dollari in Europa, 8.700 miliardi negli Usa e 473,6 miliardi in Giappone. Il resto dell’Asia, per quanto assai indietro su questo fronte ha visto crescere del 16% fra 2014 e 2016 la sua partecipazione nel settore a 52,1 miliardi di dollari. Questi dati, contenuti in un report del Global Sustainable Investment Alliance, mostrano come il successo di questi fondi stia allontanando l’idea che investire in modo più responsabile comporti necessariamente a rinunce sul fronte dei ritorni. I settori verso i quali vengono rivolte le attenzioni dei fondi “sostenibili” sono, in particolare, l’istruzione, le energie pulite e quello sanitario.
Secondo quanto affermato al South China Morning Post da Melissa McDonald, responsabile per gli investimenti di Hsbc Global, i private banker hanno mostrato “un interesse positivo” verso le pratiche d’investimento responsabili: “Il grande messaggio che ne ho tratto è che vogliono realmente investire con responsabilità, ma c’è una carenza di prodotti disponibili”.
E in merito al presunto gap sui ritorni, il mito dell’investimento sostenibile ritenuto meno performante viene sfatato dai risultati degli indici MSCI Emerging Market Index e dalla controparte “sociale e ambientale” MSCI ESG Emerging Market Index: quest’ultimo, negli ultimi 5 anni ha sovraperformato l’altro indice di 16 punti.
“Se i clienti vogliono escludere dai loro portafogli aziende che producono armi, tabacco e alcol per ragioni morali ed etiche, vorrei spiegare loro che ciò comporterà una certa distorsione del profilo rischio-rendimento”, ha commentato Andrew Parry, responsabile per gli investimenti sostenibili di Hermes Investment Management, “per compensarlo, li incoraggerei a inserire azioni riferite a beni di prima necessità che possono fornire flussi di cassa e dividendi altrettanto forti”.