In attesa del meeting dell’OPEC del 22 giugno a Vienna, è Donald Trump e non i fondamentali lato offerta a cambiare l’umore degli investitori nei confronti del petrolio. La rottura al rialzo di quota 71 dollari al barile da parte del contratto sul WTI, avvenuta dopo che il presidente Usa ha deciso di ritirare gli Usa dall’accordo sul nucleare iraniano stretto dal suo predecessore alla Casa Bianca nel 2015, viene ritenuta dagli analisti tecnici un evento importante.
Il future sul WTI americano scambia in rialzo del 2,95% dopo che ieri era sceso fino in area 68 dollari in seguito alle indiscrezioni della CNN secondo cui Trump non avrebbe stracciato l’intesa, concedendo ai fautori dell’accordo tempo per rinegoziare il patto con Teheran, che il presidente americano ha accusato di “finanziare il terrore”. Fino alla media mobile a 100 giorni di $75,24 e dal livello di ritracciamento di Fibonacci a $76,50, non ci sono altri ostacoli in termini di resistenza tecnica in grado di fermare la corsa del greggio.
Nel frattempo sul mercato obbligazionario i rendimenti obbligazionari del titolo di Stato americano a 10 anni hanno oltrepassato la soglia spartiacque del 3%. Jamie Dimon, AD di JP Morgan, sostiene che visti l’offerta di debito Usa che inonderà il mercato primario, il rafforzamento dell’economia, il surriscaldamento dell’inflazione e il ciclo di strette aggressivo della Federal Reserve, c’è da aspettarsi almeno il superamento del livello del 4%. Si tratta secondo Franklin Templeton di una “tempesta perfetta” di fattori che dovrebbero mettere sotto pressione i Bond americani.