Le stime preliminari sul PIL dell’eurozona indicano una crescita nel primo trimestre del 2018 dello 0,4% (+2,5%) rispetto a un anno prima), con una brusca decelerazione rispetto al ritmo di fine 2017 (0,7%). I cosiddetti indicatori anticipatori (leading indicators), quegli indici che cercano di anticipare gli andamenti economici, da mesi avevano messo in guardia su un inizio d’anno meno vigoroso: questa è la ragione principale per la quale avevamo neutralizzato il nostro sovrappeso sull’azionario dell’eurozona.
Incorporando i dati del primo trimestre nei nostri modelli, la crescita attesa nell’eurozona per il 2018 scende dal 2,5% al 2,2%. L’inizio d’anno sottotono è principalmente dovuto a fattori transitori: oltre alla forza dell’euro, il cui impatto era atteso, le severe condizioni climatiche e l’influenza particolarmente contagiosa hanno esercitato un impatto negativo sulla produzione industriale.
La revisione delle stime è dovuta soprattutto alla Germania, per la quale prevediamo una crescita per quest’anno del 2,2% (stima precedente: 2,5%) per via dell’euro forte, e alla Francia, dove abbiamo ridotto le aspettative all’1,9% (stima precedente: 2,3%) in considerazione dell’ondata di scioperi dei trasporti pubblici che continuerà nei prossimi mesi.
Si tratta comunque di fattori che, a nostro avviso, non sono destinati a trascinarsi nella seconda parte dell’anno, quando la ripresa della domanda interna, che si sta allargando a macchia d’olio su tutto il continente, dovrebbe rivelarsi la componente prevalente. Per quanto riguarda l’Italia, la crescita del primo trimestre (0,3%) è stata di poco inferiore alle stime e abbiamo lasciato invariata la previsione di crescita dell’1,4% per il 2018.
Oltre all’eccellenza dell’export italiano, la crescita dipende anche dalla ripresa dei consumi e degli investimenti delle aziende che, seppur in fase di recupero, rimangono ampiamente al di sotto dei livelli pre-crisi. La disponibilità di finanziamenti a tassi contenuti e gli incentivi fiscali, oltre alle condizioni economiche favorevoli, offrono una buona opportunità in questo senso. Al centro dell’attenzione degli investitori, ancora una volta, è la politica monetaria della BCE e, di conseguenza,l’inflazione.
Ad oggi, l’inflazione rimane all’1,3%, mentre il dato «core» (cioè depurato da energia e alimentari) si attesta mestamente all’1%. Anche immaginandosi un aumento dell’inflazione di qualche punto nei prossimi mesi, si tratta di dati molto distanti dall’obiettivo della banca centrale (quasi il 2%). In questo contesto, è possibile che la BCE riveda la propria decisione di terminare il programma di acquisto titoli a settembre, propendendo per un’uscita graduale verso la fine dell’anno. Il 14 giugno la BCE pubblicherà le proprie stime e il 26 luglio terrà una riunione nella quale potrebbe svelare le proprie intenzioni.
In ogni caso, per comprendere la direzione di marcia occorre rivolgere lo sguardo agli Stati Uniti. Il rendimento del Treasury decennale è balzato in poco più di un anno dall’1,4% al 3%, perché la Federal Reserve ha avviato il processo di normalizzazione delle politiche monetarie.
Nel giro di qualche mese, anche l’eurozona imboccherà un simile percorso: per gli investitori questo deve indurre alla massima cautela sul mercato obbligazionario, evitando le scadenze più lunghe e le obbligazioni che hanno rendimenti troppo compressi; per le aziende, invece, le attuali favorevoli condizioni di finanziamento potrebbero non durare a lungo.