“Se fai l’unione politica la devi fare anche democratica, dove tutti avrebbero voce in capitolo e nella quale la Germania, inevitabilmente, finirebbe in minoranza. È chiaro che loro non la vogliono. I tedeschi non vogliono rinunciare alla loro sovranità… beneficiano dell’Europa nei limiti in cui l’Europa darà loro un beneficio”. Così Paolo Savona aveva dichiarato il suo pessimismo sulla possibilità di un completamento politico dell’Eurozona, in un’intervista dell’ottobre 2014 rilasciata al sottoscritto, su Mf.
Meno di quattro anni più tardi l’ex ministro dell’Industria del governo Ciampi, classe 1936, è considerato come il primo candidato per il ministero dell’Economia del nascente governo Lega-M5s. Il suo profilo è indubbiamente quello di un tecnico d’esperienza: ex capo dell’ufficio studi della Banca d’Italia, ha ricoperto funzioni di alta responsabilità nel settore bancario (fu, fra le altre cose, dg e ad della Banca nazionale del lavoro fra ’89 e ’90 e presidente del Fondo interbancario di tutela dei depositi dal ’90 al ’99 e dal 2010 al 2014). Nel 1981 era stato nominato Cavaliere di gran croce dal presidente Sandro Pertini, negli anni precedenti era stato direttore generale di Confindustria e, a livello accademico, docente di politica economica alla Università Pro Deo (divenuta poi LUISS).
Nonostante il curriculum costellato di incarichi di alto profilo, Paolo Savona è diventato nel corso degli ultimi anni, uno dei commentatori euroscettici più seguiti e dal passato più autorevole. Per questa ragione il suo arrivo in via XX Settembre sarebbe stato oggetto di preoccupazioni da parte del Quirinale, interessato a garantire il più possibile la continuità nel rispetto degli impegni europei presi dal Paese. Non si può escludere che Savona, al contrario, possa diventare una figura in forte discontinuità, per quanto non manchi delle esperienze necessarie a ricoprire il ruolo.
Sempre nell’intervista rilasciata nel 2014, infatti, Savona aveva chiarito che il movimento per l’unificazione politica dell’Europa sarebbe dovuto partire “fin da quando avevamo firmato il trattato di Maastricht” e, siccome le cose non andarono in questo modo, “avevo sostenuto di chiedere l’opzione per non entrare nell’euro come fecero gli inglesi“.
La strategia esposta da Savona per spingere i partner europei verso la necessità di riformare l’Eurozona consisterebbe nella preparazione di un piano concreto di uscita dell’Italia dall’euro: in questo modo verrebbe resa credibile la minaccia di mandare all’aria il progetto europeo, aumentando il potere contrattuale italiano nel direzionare le riforme. Un piano temerario, indubbiamente, che potrebbe incontrare resistenze e mettere in guardia i mercati sull’integrità dell’euro se questo piano fosse elaborato alla luce del sole.
Secondo l’economista, la moneta unica “ha dimezzato il potere d’acquisto degli italiani, anche se le autorità lo negano”, dice nella sua autobiografia in prossima uscita, e aggiunge: è “una creatura biogiuridica costruita male”. Savona eppure era presente sulla scena politica quando venivano affrontati gli snodi fondamentali dell’ingresso nell’Italia nell’euro e ha anche offerto la sua visione sui principi ispiratori dell’adesione alla moneta unica: figure come Romano Prodi, aveva dichiarato, sottovalutarono i rischi dell’euro sulla spinta ottimistica di uno spirito europeo sempre più forte.
Ma l’integrazione economica europea si è arenata in uno status quo particolarmente svantaggioso per l’Italia. E, secondo Savona, sarà difficile che la Germania accetti di appoggiare un’Europa nella quale il loro interesse nazionale viene bilanciato in favore di quello dei Paesi periferici.