Più che cancellare in toto la riforma è meglio modificarla con varie misure che nel gergo politico e giornalistico degli ultimi tempi sono state ribattezzate come Stop Fornero. Questo devono aver pensato le forze politiche oggi al governo che dell’abolizione della legge dell’ex ministro del governo Monti avevano fatto un loro cavallo di battaglia durante la campagna elettorale.
La misura stop Fornero che si è venuta a delineare una volta formato il governo gialloverde è la famosa quota 100 ovvero 41 anni di contributi che significa somma degli anni di contributi e dell’età anagrafica pari almeno a 100 per poter accedere alla pensione anticipata.
Costo? Cinque miliardi dice il governo, cifra smentita puntualmente dall’Inps che invece ha stimato un esborso per lo Stato tra i 12 ed i 15 miliardi di euro all’anno. Se non si trovano le risorse necessarie, a pagare la riforma sarebbero le nuove generazioni future.
Così per addolcirla l’ultima versione proposta da Alberto Brambilla prevede l’uscita diretta dal mondo del lavoro a 41 anni e 6 mesi di contributi oppure a quota 100. In quest’ultimo caso però sono necessari almeno 64 anni di età e almeno 36 anni di contributi.
Due le novità più grosse: da una parte per chi va in pensione anticipata tramite questi due nuovi canali si prevede il ricalcolo della pensione con il metodo contributivo per il periodo dal 1996 al 2011 e dall’altra lo stop dell’Ape sociale, mentre quello volontario sarebbe prorogato.
Chi ci rimetterebbe di più da questa ultima versione dello “stop Fornero”? Come scrive i Il Sole 24 Ore in un articolo a firma di Vincenzo Galasso, penalizzate maggiormente saranno le persone in condizioni di necessità che avevano accesso all’Ape sociale ossia disoccupati anziani di lunga durata senza ammortizzatori sociali, persone anziane con un elevato grado di invalidità, lavoratori in settori gravosi.
Con una beffa in più: per molte di queste persone si prospetta un aumento fino a ben quattro anni dell’età di pensionamento.