I produttori mondiali di petrolio, Opec e non, hanno raggiunto un accordo per dare il via libera ad un aumento della produzione.
Sul mercato del greggio si potranno contare 1 milione di barili di oro nero in più al giorno, in termini nominali; in termine reali, invece, si stima che i barili in più al giorno non supereranno le 600mila unità.
Questo perché non tutti gli Stati saranno capaci di spingere tanto la loro produzione: il Venezuela è in piena crisi (si parla anche di pignoramento dei pozzi petroliferi), così come l’Iran; ma anche Libia e Nigeria, per fare degli esempi, riusciranno molto difficilmente a raggiungere quote di output così elevate.
Con una domanda mondiale sempre forte ma un’offerta in diminuzione che ha visto il prezzo del petrolio rimanere nel range tra i 60 ed i 75 dollari dall’inizio del 2018, Russia e Arabia Saudita potrebbero guadagnare nuove quote di mercato. Ecco perché sono state proprio loro ad insistere sull’aumento della soglia dell’output.
Inoltre, lo scenario geopolitico presenta una congiuntura favorevole all’approccio voluto appunto da Russia ed Arabia Saudita: oltre alle già citate crisi di Venezuela ed Iran, le scorte americane di petrolio greggio sono in calo, mentre India e Cina, nonostante l’incremento delle fonti rinnovabili, non danno segnali di voler ridurre la loro domanda di oro nero.
Concludono lo scenario la situazione di stallo in Siria e la diminuzione del 25% in 5 anni dell’attività di ricerca e sviluppo nel campo dell’estrazione.
Russia ed Arabia Saudita si starebbe dunque costruendo una corsia preferenziale verso la leadership mondiale dei Paesi produttori di petrolio, già di qui a breve, con la conseguenza di aumentare anche il loro peso politico internazionale.