L’esecutivo giallo-verde ha un problema. Un “elefante nella stanza”, lo definirebbero gli anglofoni. Nel contratto di governo si parla di flat tax (che poi sarà una dual tax), reddito di cittadinanza (in realtà un reddito minimo garantito a chi non ha un lavoro) e smantellamento della Legge Fornero. Tutte misure molto costose per le casse dello Stato.
Allo stesso tempo il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha molto pragmaticamente intenzione, anche per rassicurare i mercati finanziari sulla traiettoria di rientro del debito pubblico italiano, di varare provvedimenti volti a ridurre il rapporto tra deficit e Pil. L’obiettivo è che il tasso scenda all’1,4% dall’1,6-1,7% di quest’anno. Il professore Tria ha dichiarato che il governo avrà come obiettivo quello di “ridurre il debito e di non permettere al deficit strutturale di crescere”.
In vista della preparazione della nota di aggiornamento al Def, le fondamenta su cui fabbricare la prossima legge di Bilancio, c’è da aspettarsi un dibattito acceso in seno al governo sul da farsi, visto che mancano le coperture. Servono tra i 108,7 e i 125,7 miliardi di euro e non basteranno misure una tantum come la pace fiscale (un condono a tutti gli effetti) e il mezzo miliardo di “entrate” previste.
Il governo a traino Lega-M5S sta cercando la complicata quadratura del cerchio e se vuole riuscirci dovrebbe prestare attenzione a un’anomalia nel bilancio, secondo Arturo Artom. Il fondatore di Confapri, associazione di piccole e medie imprese del Nordest, da tempo vicino al M5S, suggerisce di focalizzarsi su un gap insolito nei conti pubblici. Si tratta del divario che si è aperto tra il deficit accumulato dallo Stato e il debito pubblico.
“Siamo qui – dichiara in un’intervista a Libero Quotidiano – a discutere animatamente sullo 0,1% di Pil in più o in meno, ma nessuno evidenza con la giusta enfasi le decine di miliardi di scostamento che ci sono tra il deficit accumulato dallo Stato e il debito pubblico”. Una forbice misteriosa che si stima valga un punto pieno di Pil.
Forbice tra deficit e debito resta un mistero
Negli ultimi anni il deficit pubblico, la differenza tra le entrate dell’esercizio annuale e la spesa sostenuta nello stesso arco di tempo dallo Stato, non si è ampliato allo stesso ritmo del debito. Al contrario. Mentre quest’ultimo è cresciuto a 2.300 miliardi di euro dai 1.900 miliardi del 2011, il deficit – che tiene anche conto degli interessi che paghiamo sul debito – è rimasto ancorato intorno ai 290 miliardi.
Allo stesso quotidiano Carlo Cottarelli, ex commissario alla spending review, prova a spiegare i motivi dell’apertura di una forbice insolita tra le due voci. “Ci sono alcune poste di bilancio che per motivi contabili non vengono incluse nel deficit, ma vanno comunque ad incrementare il debito pubblico. Per esempio il cuscinetto di liquidità sotto forma di depositi che lo Stato mantiene presso Bankitalia, che varia anno su anno, e che nel 2017 è stato ridotto di 15 miliardi e che nei prossimi anni dovrà essere ricreato”.
“Negli ultimi 20 anni, comunque, la differenza tra deficit e variazione del debito è stata di circa lo 0,7% del Pil, quindi vale una decina di miliardi a esercizio. Ma negli ultimi anni alcune di queste voci sono aumentate e così si spiega l’allargamento della forbice che è diventata di un punto di Pil“.
Come si spiega un fenomeno simile? Per esempio con la crescita delle spese per i derivati con i quali il Tesoro si copriva dal rischio di aumento dei tassi di interesse. “Certamente hanno avuto un grande peso gli stanziamenti per i diversi fondi di salvataggio (solo per la Grecia l’Italia ha speso più di 40 miliardi) che sono stati erogati in sede europea”.
Cottarelli: c’è troppa opacità
Come mai allora, se si tratta di numeri così significativi, il ministro dell’Economia non fa cenno a questa sorta di spread dei conti pubblici? Se nei prossimi tre anni si riuscisse a capire il perché di questo andamento e come mai il debito è visto ampliarsi di altri 55 miliardi in più del deficit, il governo troverebbe un bel tesoretto da cui attingere per le sue ambiziose misure di stimolo dell’economia.
“Sicuramente su questo punto c’è troppa opacità“, ammette Cottarelli. “Avevamo sollevato la questione in una nota dell’Osservatorio alcuni mesi fa”, dice facendo riferimento all’Osservatorio dei Conti Pubblici dell’Università Cattolica di Milano da lui presieduto.
“Servirebbe un’operazione trasparenza che ci dica capitolo per capitolo quali sono le spese che affrontiamo e che vengono contabilizzate nel debito, ma non fanno parte del deficit. Penso che siano operazioni del tutto valide e difficilmente comprimibili, ma occorre più trasparenza. Anche perché diversi partiti elaborano i loro piani di finanza pubblica partendo dal presupposto di non avere scostamenti tra deficit e incremento del debito. Il che dà un quadro più ottimistico della realtà sui conti pubblici“.
Risolvere l’enigma, secondo Artom, potrebbe inoltre “innescare un circolo virtuoso. Potrei chiedermi, per esempio, se è stato giusto spendere così tanto in derivati o se non è il caso di ridurre la liquidità detenuta dal Tesoro presso Bankitalia. Ma fino a quando non sarà fatta chiarezza, qualsiasi proposta in tal senso risulterà velleitaria”.