Ieri l’attenzione dei social network si era focalizzata sulla chiusura degli account e la rimozione dei podcast legati al noto cospirazionista Alex Jones, da parte di Facebook, iTunes e Spotify; oggi nel mirino della censura sono finiti alcuni profili attribuiti a noti attivisti libertari, fra cui il direttore esecutivo del Ron Paul Institute, Dan McAdams. A denunciare il fatto è il sito anti-interventista Antiwar.com, colpito dal congelamento dell’account del suo direttore editoriale, Scott Horton. I tweet appartenenti ai soggetti colpiti dal provvedimento del social network rimangono visibili, ma i rispettivi proprietari non possono più aggiungerne di nuovi. Così Antiwar.com:
Scott Horton, Peter Van Buren, and Dan McAdams have been suspended from Twitter.
If you go to their accounts, you will see their old tweets, but they are prohibited from making new tweets. They were reported by @KatzOnEarth for criticizing his posts. Please complain to Twitter. pic.twitter.com/kaWAqasLKQ— Antiwar.com (@Antiwarcom) 6 agosto 2018
Secondo quanto affermato da McAdams a TargetLiberty, alla base della sospensione del suo account ci sarebbe un litigio avvenuto via Twitter con un tale Johnatan Katz, il quale sarebbe “dipendente di una Ong finanziata da George Soros”. McAdams si sarebbe lasciato andare a un insulto a suo dire sarcastico (“spero che uno zombie ti mangi la faccia”) che avrebbe prontamente innescato una segnalazione a Twitter da parte di Katz. Il risultato sarebbe una chiusura automatica dell’account dovuta all’algoritmo del social network. McAdams sostiene che il diverbio non fosse molto diverso dalle migliaia che ogni giorno avvengono su Twitter senza conseguenze simili.
I media “alternativi” in questo momento di stretta (quantomeno apparente) alle voci critiche e conservatrici si dicono insospettiti dall’azione repressiva dei social ai danni di alcuni loro più noti esponenti. In passato gli stessi social erano stati accusati di lasciare troppa libertà ai profili diffusori di notizie false o fuorvianti, fino a sollevare il dubbio che tale lassismo abbia finito col favorire la vittoria di Donald Trump nel 2016. Ora, c’è chi si domanda se i recenti provvedimenti possano costituire scomodi precedenti ai danni dell’informazione indipendente.