Una tempesta finanziaria senza precedenti si sta abbattendo sulla Turchia con la lira che lunedì è crollata ai minimi storici, arrivando a toccare un calo del 5,5% e anche stamani la caduta della valuta di Ankara non accenna ad arrestarsi. Al cambio con la divisa Usa in mattinata la lira tocca quota 5,4 dopo avere perso quasi il 10% nel corso dell’ultimo mese.
A pesare sulla lira turca le tensioni diplomatiche in corso con gli Stati Uniti, attorno al caso del pastore americano detenuto ad Ankara con l’accusa di terrorismo. Il presidente Trump irritato ha risposto sanzionando due ministri turchi e la risposta di Erdogan è stata analoga.
Fatto sta che le tensioni politiche si sono riversate sul mercato finanziario con i titoli di Stato che hanno iniziato a soffrire, con un crollo che ha portato il rendimento decennale al record del 20%. Ankara ha soffiato così all’Argentina il primato del peggior mercato obbligazionario dell’anno perdendo il 38% contro il 36% di Buenos Aires.
La Turchia ha un deficit nel commercio internazionale nel senso che importa più di quanto esporta. In altre parole, spende più di quanto guadagna. Di per sé ciò non è né insolito né pericoloso. Ma il deficit della Turchia è piuttosto elevato, pari al 5,5 per cento del reddito nazionale, o PIL, l’anno scorso. La debolezza della valuta aggrava inoltre il persistente problema dell’inflazione in Turchia. La lira più debole rende le importazioni più costose.
Con un’inflazione che viaggia sopra il 15%, ai massimi di 15 anni, la prima mossa per calmare gli investitori in fuga sarebbe un aumento dei tassi d’interesse, cui tuttavia Erdogan si è decisamente opposto.
Il governo turco tace e il suo silenzio fa supporre a molti un intervento a breve del Fondo monetario internazionale oppure in extrema ratio, imporre limiti ai movimenti di capitale.