La caduta della lira turca sul dollaro ha subito un’ulteriore accelerazione in seguito all’annuncio di nuovi dazi da parte degli Usa – raddoppiati rispetto a quelli già previsti – sull’acciaio e l’alluminio importati dal Paese mediorientale. La moneta turca ha quindi ceduto il 17% sul dollaro, mentre poche ore prima il presidente Erdogan aveva invitato i cittadini a convertire euro e dollari “tenuti sotto il materasso” e rivendicato il valore di Dio rispetto al dollaro degli americani (“Non dimenticatelo: se loro hanno i dollari, noi abbiamo la nostra gente, la giustizia e Dio”, è stata l’uscita del presidente turco).
L’acciaio è il quarto fra i prodotti più esportati dalla Turchia, con un valore di 11,5 miliardi di dollari, pari al 7% delle esportazioni totali. Fino all’anno scorso erano proprio gli Stati Uniti il primo importatore dell’acciaio turco, prima che i precedenti dazi riducessero gli scambi fra i due Paesi, portando gli Usa al terzo posto.
Contestualmente all’ulteriore ribasso della lira, sono aumentate le vendite sul titolo Unicredit, l’istituto italiano con maggiori interessi in Turchia, in virtù della propria quota in Yapi Kredi: a partire dalle 15 circa l’azione ha peggiorato il ribasso di giornata e attualmente è in calo del 6,31% a 13,55 euro.
Fra le ragioni di fondo del ribasso della moneta turca vi sono le aspettative sull’inflazione che, dopo aver già raggiunto il 15% nel mese di luglio, potrebbe continuare a salire se – come pare – la presidenza eserciterà pressione sulla banca centrale affinché i tassi restino bassi. Ciò porterebbe ad un ulteriore surriscaldamento dell’economia turca. La corsa dei prezzi rischia di erodere, inoltre, la crescita reale del Pil: il governo ha già tagliato le previsioni della crescita annua dal 5,5% al 4%. “Una recessione e una crisi del debito costringerebbe la Turchia a implementare controlli sui movimenti di capitale e a richiedere un salvataggio al Fondo monetario internazionale” ha dichiarato l’economista di Berenberg, Carsten Hesse alla Cnn.