Gli investitori si trovano a dover fronteggiare un nuovo periodo di volatilità: il contesto molto tranquillo del secondo semestre del 2017 ha ceduto il passo a un quadro più agitato, contrassegnato da maggiore inflazione, irrigidimento delle politiche monetarie e cambi altalenanti. Questa transizione dovrebbe influire in particolare sui paesi emergenti, complicando il lavoro di chi investe nei mercati azionari e obbligazionari di queste economie.
La volatilità che ha caratterizzato i mercati da inizio anno si è presentata in due fasi. Il picco raggiunto dall’indice VIX a febbraio è dovuto in gran parte ad aspetti tecnici, sostenuti principalmente dalla grande massa di denaro concentratasi negli strumenti indicizzati alla volatilità.
Pur calando rispetto al massimo di febbraio, il VIX è rimasto a livelli superiori all’anno scorso e ora è più prossimo alla media storica. Questa seconda fase di volatilità è stata sostenuta da fattori più fondamentali, tra cui i timori relativi agli effetti della stretta monetaria delle banche centrali e i rischi geopolitici legati alle controversie commerciali, ai conflitti nel Medio Oriente e alle elezioni in alcuni paesi.
Anche se alcuni di questi fattori riguardano le economie sviluppate (ne è un esempio l’attuale situazione politica italiana), altri dovrebbero invece influire iperbolicamente sui paesi emergenti, traducendosi in una maggiore volatilità complessiva per tali economie.
La selettività è fondamentale nei periodi turbolenti
L’importanza dei titoli detenuti aumenta nei periodi volatili rispetto alle fasi tranquille. Le strategie passive possono dimostrarsi meno efficaci in momenti di dislocazione dei mercati, eventualmente inducendo gli investitori a seguire approcci più selettivi di costruzione del portafoglio per conseguire i gli obiettivi. Anche se gli specifici approcci possono divergere tra il segmento azionario e quello obbligazionario dei paesi emergenti, in entrambi i casi risulta fondamentale gestire le dislocazioni in modo attivo.
In tempi come quelli attuali le strategie passive tendono a generare rendimenti deludenti poiché sono più vulnerabili alle correzioni complessive del mercato rispetto ai periodi più tranquilli e incapaci di sfruttare le dislocazioni che avvengono in singoli mercati. Per beneficiare delle opportunità che dovrebbero presentarsi nei prossimi anni, anche in paesi ignorati dal mercato, gli investitori potrebbero essere costretti ad aumentare l’esposizione a strategie gestite attivamente. La selettività e l’agilità possono dimostrarsi aspetti molto positivi nell’immediato futuro.
Azionario – la turbolenza genera opportunità per le strategie “growth”
Sul fronte azionario, la volatilità potrebbe generare opportunità in particolare per le strategie growth, in quanto potrebbe creare una dispersione particolarmente positiva. Negli ultimi anni, i finanziamenti a basso costo e la tranquillità dei mercati hanno permesso a molte aziende di scarsa qualità dei mercati emergenti di realizzare buoni risultati; l’eventuale conclusione di tale periodo potrebbe consentire alle imprese con fondamentali veramente solidi di dimostrare i propri meriti reali.
La volatilità è meno rilevante per le strategie azionarie value nei mercati emergenti, dove si cerca di individuare titoli “dimenticati”, ovvero imprese verso le quali il mercato ha perso interesse per qualsiasi motivo, i cui titoli tendono ad essere molto convenienti, indipendentemente dalle oscillazioni di prezzo.
Obbligazionario – il debito dei paesi emergenti in valuta locale è fortemente esposto alle oscillazioni dei cambi
Il ritorno della volatilità sta causando un po’ di sana dispersione nei mercati obbligazionari dei paesi emergenti. In periodi normali i fattori specifici locali rappresentano circa il 75% della volatilità complessiva del debito dei mercati emergenti, rispetto al 25% dei fattori macro globali.
Attualmente la percentuale è più vicina al 50/50: il contesto d’investimento risulta più impegnativo e la volatilità dovrebbe persistere per 3-5 anni. Gli effetti su chi investe nel debito dei paesi emergenti dipenderanno sensibilmente dalla scelta di acquistare obbligazioni in valuta locale anziché denominate in dollari USA.
Gran parte della volatilità del debito di queste economie è dovuta alle oscillazioni valutarie, che possono essere rapide e causate da fattori tecnici. Pertanto la gestione del debito in valuta locale richiede talvolta cambi di posizione di minore entità ma a maggior frequenza e l’uso di strategie come l’accoppiamento del valore relativo.
Pur potendo risentire delle oscillazioni valutarie, il debito dei paesi emergenti denominato in dollari tende ad essere maggiormente condizionato da fattori fondamentali legati al paese emittente. Nell’analizzare tale debito siamo pertanto più propensi a guardare oltre la volatilità causata da fattori tecnici e a verificare se il prezzo di un’obbligazione si è allontanato da quelle che consideriamo le sue qualità fondamentali.
Con l’occasione ricordo che T. Rowe Price è un asset manager globale fondato nel 1937 a Baltimora (USA) con oltre 1.000 miliardi di dollari in gestione, quotato sul NASDAQ dal 1986 e parte dell’indice S&P 500, recentemente premiato ai Morningstar Italy Awards 2018 come migliore società obbligazionaria e migliore società overall.