La caccia alle risorse necessarie ad equilibrare le spese della legge di Bilancio sembra dirigersi, ancora una volta, allo strumento della voluntary disclosure.
Secondo l’ipotesi allo studio del governo riportata dal Sole24Ore, si punta a un rientro dei capitali in contanti o nelle cassette di sicurezza detenute all’estero a fronte del pagamento di una aliquota in linea con quella che dovrebbe essere la flat tax (15 o 20%).
Il denaro così rientrato in Italia, tuttavia, dovrebbe essere obbligatoriamente reinvestito in Piani individuali di risparmio (Pir) a medio e lungo termine. Questi ultimi prodotti finanziari, nati per favorire l’afflusso di capitali verso le imprese italiane, prevedono uno sconto fiscale sulle eventuali plusvalenze se tenuti in portafoglio per almeno cinque anni.
I capitali rientrati e reinvestiti obbligatoriamente in Pir, tuttavia, non seguirebbero alcune delle regole fondamentali che disciplinano questi strumenti: verrebbe cancellato il tetto massimo di 30mila euro, per permettere di far confluire anche capitali più ingenti, e scomparirebbe lo sconto fiscale sopra descritto.
Quanto si potrebbe ricavare dalla misura? Secondo le stime il valore all’estero di contanti e cassette di sicurezza arriverebbe a 200 miliardi di euro: nella migliore (e più irrealistica) delle ipotesi, con un’aliquota al 20%, si potrebbero ricavare fino 40 miliardi.
Per avere un’idea più affidabile è utile ricordare che con le voluntary disclosure degli anni 2015, 2016 e 2017 il gettito aggiuntivo è stato complessivamente di 5 miliardi. Secondo le stime pubblicate dall’economista ed ex responsabile alla Spending review Carlo Cottarelli, la sola flat tax indicata nel contratto di governo costerebbe dieci volte tanto, 50 miliardi.