Sono oltre un milione e mezzo i lavoratori completamente in nero a fronte di 5,7 milioni di aziende attive sul territorio italiano. Con un importo sottratto alle casse dello Stato che si attesta sui 20 miliardi di euro.
Sono alcuni dei principali dati emersi da una ricerca della Fondazione studi dei consulenti del lavoro che ha rielaborato i dati 2017 – primo anno di attività dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro – relativi al lavoro sommerso.
I lavoratori irregolari in Italia sul totale delle aziende attive “nel 2017 sono un milione 538 mila“, anche se in calo – si spiega – “negli ultimi due anni (2016 e 2015), di circa 200.000 unità”.
Lo scorso anno “sono state 160.347″ le aziende verificate dall’Ispettorato, e quelle che presentavano forme di irregolarità riguardanti almeno un occupato “sono state 103.498”, ossia “il 64,54%” del totale di quelle controllate.
Le irregolarità, ricordano i consulenti nel dossier, possono riguardare “forme di elusione previdenziale, assicurativa e fiscale (come il mancato assoggettamento a Inps, Inail e Irpef di parte della retribuzione corrisposta), il lavoro parzialmente ‘sommerso’ (ad esempio, il rapporti in part-time che, invece, risultano a tempo pieno)” ed il lavoro completamente in ‘nero’.
Secondo i consulenti del lavoro il dato è tendenzialmente in riduzione di circa 200.000 unità grazie anche agli interventi mirati della vigilanza dell’Ispettorato, che ha potuto applicare il nuovo regime sanzionatorio sul caporalato. Il fenomeno, tuttavia, rimane ancora rilevante poiché ogni tre aziende ispezionate si riscontra un lavoratore ‘in nero’ (il tasso è 2,9).
I consulenti quindi stimano una retribuzione annua corrisposta ai lavoratori sommersi e non assoggetta a oneri pari a 31,8 miliardi di euro. E con questi un mancato gettito previdenziale di 11,1 miliardi di euro, un mancato gettito fiscale (Irpef + add. Reg. e com.) pari a 8,1 miliardi e un mancato gettito Inail di 0,86 miliardi, arrivando appunto a circa 20 miliardi ‘evasi’.