Il crollo del peso argentino e della lira turca, proseguiti anche nella giornata di venerdì, sembra aver scoperto vulnerabilità anche negli altri mercati emergenti e, in particolare, in Indonesia. La rupia indonesiana ha infatti raggiunto un nuovo minimo a 14.750 per dollaro, il valore più basso dal 1998. Il peso ha perso il 108% quest’anno nei confronti del dollaro Usa.
Contestualmente sono cresciuti i rendimenti dei titoli decennali di riferimento, con un balzo di 10 punti base (ai massimi dal 2016). Alla base dello scetticismo dei mercati vi sono fattori fondamentali, a partire dal saldo delle partite correnti in deficit (accresciutosi del 3% sul Pil nel secondo trimestre, a 8 miliardi di dollari) e il timore di rialzi dei tassi di sconto nazionali. Ma anche fattori esterni, secondo gli analisti, potrebbero avere un ruolo nella stabilità finanziaria del Paese, anche tenendo conto del fatto che il 40% dei bond indonesiani è in mano straniera.
La reazione della rupia, seguita alle difficoltà di peso argentino e lira turca “basta a dimostrare che l’ambiente esterno rimane difficile per l’Indonesia come avevamo previsto”, ha dichiarato a Bloomberg Mohamed Faiz Nagutha (Bank of America Merrill Lynch a Singapore), “continuiamo ad aspettarci di sicuro ulteriori aumenti dei tassi, con l’esatta entità che sarà determinata da fattori esterni piuttosto che fondamentali nazionali”. Se si esclude la rupia indiana, è la moneta indonesiana la valuta asiatica più debole da inizio dell’anno, con un calo del 7,8%.
Secondo l’economista di Ing, Prakash Sakpal, “la sottoperformance della rupia rispetto al resto dei mercati emergenti deriva dalla debole posizione dei pagamenti esterni dell’Indonesia, in particolare il deficit delle partite correnti“, anche se “le cose ora sono molto diverse rispetto a 20 anni fa, quando la crisi ha avuto origine in Asia e l’affidabilità creditizia esterna della rupia era molto più debole”.
La crisi dei mercati emergenti è entrata in una nuova fase. Ieri l’Argentina, dopo essere stata costretta a chiedere in anticipo i 50 miliardi presi in prestito dall’FMI, ha alzato i tassi guida dal 45% al 60%, il livello più alto al mondo. La lira turca ha perso un altro -5% ieri con il valore rispetto al dollaro Usa che è stato praticamente dimezzato nel 2018.
I timori principali sono principalmente legati ai 179 miliardi di dollari di debito estero turco che andranno in scadenza tra il 2018 e il luglio 2019, equivalenti a quasi un quarto del suo Pil annuo, come sottolineato dalla banca di investimento americana JP Morgan.
Gli attivi dei mercati emergenti stanno vivendo un mese da incubo, con le crisi economiche di Argentina e Turchia che hanno alimentato i timori di un contagio generalizzato. L’escalation delle tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti non aiutano. L’indice MSCI delle valute della regione è in calo del 2,2% in agosto (dati di mezzogiorno a Singapore). Si appresta dunque ad allungare la striscia negativa a cinque mesi, sarebbe la più lunga da settembre 2015.