La stagnazione secolare è una teoria ritornata alla ribalta negli anni successivi alla Grande crisi finanziaria. Nel corso delle ultime settimane il Premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz e il principale propugnatore della teoria in epoca recente, Larry Summers, si sono confrontati pubblicamente per poi approdare a una conclusione condivisa: in seguito a una crisi come quella del 2008 le sole leve offerte dal tasso d’interesse non bastano a ristabilire una crescita soddisfacente. Occorre, al contrario, un deciso sostegno della politica fiscale – ovvero uno stato pronto a incrementare la spesa pubblica e il suo intervento diretto nell’economia.
Secondo quanto afferma Stiglitz la teoria della stagnazione secolare avrebbe un carattere fatalistico, attribuendo a un fisiologico aumento della propensione al risparmio e al calo della propensione a investire effetti a lungo termine come livelli di crescita bassi, politiche monetarie espansive e, infine, instabilità finanziaria. Secondo l’economista vincitore del Nobel questa interpretazione avrebbe coperto un non sufficiente intervento pubblico nell’economia.
Summers ha però replicato a Stiglitz accusandolo di non aver compreso quanto egli intenda per stagnazione secolare e come contrastarla. La stagnazione secolare implica che “l’economia privata potrebbe non tornare alla piena occupazione dopo una forte contrazione, il che rende essenziale l’intervento pubblico. Penso che questo sia ciò che crede Stiglitz, quindi non capisco i suoi attacchi” spiega Summers intervenendo su Project Syndacate. “Non possiamo fare affidamento sulle politiche dei tassi di interesse per garantire la piena occupazione, dobbiamo riflettere attentamente sulle politiche fiscali e sulle misure strutturali per sostenere una domanda aggregata sostenuta e adeguata”, precisa l’ex direttore Consiglio Economico Nazionale Usa, non prima di aver sferrato una piccata critica al collega:
“Stiglitz condanna l’incapacità dell’amministrazione Obama di attuare una politica di stimolo fiscale più ampia e ritiene che ciò rifletta un fallimento della comprensione economica. Era un firmatario di una lettera del 19 novembre 2008 firmata anche dai progressisti James K. Galbraith, Dean Baker e Larry Mishel che chiedevano uno stimolo di 300 – 400 miliardi di dollari, ovvero meno della metà di quello proposto dall’amministrazione Obama. Quindi le cose erano meno chiare in prospettiva che in retrospettiva”.