di Titta Ferraro
In ottica buy & hold si può pensare di far affidamento anche a una sola manciata di ETF per diversificare l’investimento
Diversificare al meglio il portafoglio e allo stesso tempo ridurre all’osso la cassetta degli attrezzi per tale scopo. Oggi l’investitore alla ricerca di una asset allocation semplice e diversificata difficilmente può esulare dall’utilizzo degli ETF che in molte occasioni rappresentano la strada più semplice per contenere i costi e il numero di prodotti necessari per attuare le proprie scelte d’investimento.
La soluzione inoltre si sposa bene con l’avvento della Mifid2, che ha portato a maggiore enfasi sui costi per la costruzione del portafoglio, e con un contesto di tassi ancora a livelli storicamente bassi che invogliano ad andare alla ricerca di strumenti per generare performance senza la zavorra di costi elevati.
Nelle gestioni patrimoniali e polizze unit linked l’utilizzo di questi prodotti sta prendendo sempre più piede. In Italia in particolare, come rimarca un recente studio di iShares (BlackRock), è aumentato in modo significativo l’interesse e il dialogo con i distributori che desiderano saperne di più sulla creazione di portafogli in ETF.
Prodotto passivo, gestore attivo
I portafogli a base di ETF dal punto di vista logico non rappresentano una gestione attiva in senso stretto
“ma sono molto più di una semplice gestione passiva perché un corretto approccio core-satellite e una adeguata scelta del replicante giusto possono far pervenire a performance interessanti”
argomenta Nicola Manfredelli, portfolio manager and ETF Selector di Cordusio Sim.
Senza dimenticare che sono molte anche le gestioni che combinano ricerca di rendimento (fondi attivi) e contenimento dei costi (ETF).
Tandem di base
Considerando un portafoglio “buy & hold” ridotto ai minimi termini, anche due soli ETF sono in grado di assolvere l’arduo compito di garantire un’adeguata diversificazione all’interno di una asset allocation fissa nel lungo termine.
Mettendo insieme un ETF legato all’indice azionario Msci World con un clone obbligazionario “Global Aggregate”, che comprende sia titoli di Stato che corporate bond,
“si perviene già a una diversificazione impressionante – argomenta Vincenzo Sagone, responsabile per l’Italia dell’ETF, Indexing & Smart Beta Business Unit di Amundi“.
Basti pensare che tra azioni (circa 1600) e obbligazioni (circa 14 mila) si arriva a un totale di circa 16 mila titoli”; un investitore retail dovrebbe avere un patrimonio minimo molto elevato, nell’ordine di diciamo un miliardo di euro, per acquistare una tale quantità di titoli.
“Il bello dell’ETF è proprio questo: diversificare il rischio su una quantità elevata di titoli con l’ausilio di una manciata di strumenti”.
Squadra completa
Andando oltre al caso di esposizione esclusivamente “core”, l’inserimento nel portafoglio di una parte “satellite” va ad allargare il raggio di azione dell’investitore alla ricerca di opportunità tattiche, volte a rendere il portafoglio potenzialmente meglio performante. Gli ETF presentano innumerevoli opzioni per posizionarsi attraverso prodotti settoriali, tematici, geografici e fattoriali.
“Queste aggiunte necessitano però di un’adeguata expertise per costruire posizioni in grado di performare nelle diverse fasi di mercato – sottolinea Sagone – e la figura di un consulente finanziario diventa importante per guidare l’investitore nella scelta”.
Il numero giusto per diversificare
Premesso che molto dipende dalle esigenze di asset allocation dell’investitore e dal suo livello di avversione al rischio, secondo Manfredelli per definire strategicamente completo un portafoglio in ETF va considerato un pacchetto minimo di 8-10 prodotti che vadano a coprire sia la componente obbligazionaria, che quella azionaria per le diverse aree geografiche.
Relativamente alla costruzione del portafoglio, per la parte core e per quella satellite, l’esperto di Cordusio Sim ricorda come il processo di selezione del replicante più adatto sia fondamentale.
Inoltre l’esperto sottolinea come gli ETF smart beta possano essere utilizzati anche per inserirli nella parte tattica del portafoglio dando quindi una potenziale marcia in più rispetto ai tradizionali ETF legati a indici a capitalizzazione.
“Gli smart beta permettono di enfatizzare una scelta strategica ritenuta vincente in un determinato momento – chiarisce Manfredelli – e indubbiamente il timing risulta essenziale perché tale scelta si trasformi effettivamente in una extra-performance”.