Un decreto legge pubblicato nella notte costringerà, salve alcune eccezioni, a convertire in lire turche tutti i contratti economici di acquisto, vendita e locazione di beni mobili, immobili e di servizi stipulati in valuta estera. Si tratta dell’ultima mossa volta, voluta dal presidente Recep Tayyip Erdogan, a sostenere il cambio della moneta in caduta libera.
La finestra temporale offerta dal governo con la manovra populista è di 30 giorni, entro i quali affitti, contratti di vendita e così via, dovranno essere denominati in lire. Ad aumentare la confusione sui passaggi c’è anche la mancata definizione, nel testo del decreto, sul tasso di cambio da utilizzare per la conversione: questo aspetto dovrà essere frutto di un accordo fra le parti.
Nel Paese, che attualmente è colpito da un’inflazione galoppante al 18%, livello che da anni non scende al di sotto del 6%, l’utilizzo di contratti in valuta estera, dollari o euro, sono spesso offerti agli stranieri residenti in Turchia e assai graditi dalla popolazione locale. Si stima che metà dei depositi bancari dei cittadini turchi sia in valuta estera, il che permette una copertura dall’erosione del potere d’acquisto.
Nei centri commerciali la quota di contratti denominati in valuta straniera arriverebbe al 70%, ha detto Hulusi Belgu presidente del consiglio dei centri commerciali. Ma l’obiettivo della presidenza è stato espresso in modo chiaro: “Tutti gli affari fatti in Turchia devono essere discussi, denominati e condotti in lire”. Compresi quelli condotti dallo stesso governo, che infatti ne ha sempre fatto uso, in particolare nel settore delle costruzioni.