A inizio settimana il maggior Etf riferito ai bond dei mercati emergenti denominati in valuta locale, iShares JP Morgan EM Local Government Bond, ha sperimentato i maggiori flussi positivi dal giugno 2017. L’afflusso netto è stato di 169 milioni martedì, anche se da inizio anno l’Etf, da 6,1 miliardi di dollari, è ancora in perdita oltre del 10%.
C’è chi ipotizza che questo sia un possibile segnale dell’attesa fine del sell-off (fase caratterizzata da una pioggia di vendite) che si è abbattuta sui mercati emergenti in particolare da metà agosto, in concomitanza con lo scoppio della crisi della lira turca e la svalutazione del peso argentino.
Bernd Berg, stratega della Woodman Asset Management, ha dichiarato a Bloomberg che “le valute hanno trovato un bottom al momento e il rally tattico potrebbe avere margine per espandersi ulteriormente, con le banche centrali dei mercati emergenti che sono venute in soccorso tramite aumenti dei tassi”.
“I fondamentali complessivi – ha aggiunto – sono ancora solidi e le valutazioni sono a buon mercato in alcuni mercati valutari dei mercati emergenti dopo l’aggressivo repricing di questa estate”.
La correlazione tra i bond dei mercati emergenti e titoli del Tesoro americano ha raggiunto i livelli minimi da due anni (Grafico in basso) il che spiega perché i rendimenti statunitensi superiori al 3% non siano un ostacolo al debito estero.
L’aumento dei rendimenti dei T-Bond, infatti, non ha fatto il paio con la rivalutazione del dollaro – l’altro elemento che tende a colpire le obbligazioni degli emergenti. Il biglietto verde, al contrario vede il Dollar Index ai minimi da luglio scorso (attualmente a quota 93,84). È un buon presagio per i mercati emergenti, che tanto hanno patito da agosto a oggi.