Siamo di nuovo alle prese con i dilemmi di un anno fa, nelle fasi finali del rimbalzo successivo
all’attacco dell’11 settembre? Pur tra mille incertezze, questa è la prospettiva che sembrerebbe tornata a
riaffacciarsi con maggiore insistenza. Il conflitto iracheno è ormai alle spalle, e con esso anche i timori che
avevano pesato su economie e mercati; eppure l’atteso miglioramento del clima di fiducia, capace di farsi sentire
sull’andamento delle attività reali e finanziarie, stenta a farsi strada, alimentando dubbi sulle cause reali del
malessere in atto ormai da mesi.
L’ipotesi che più ragionevolmente si fa strada è quindi quella di un’economia
USA in crescita ancora modesta, almeno per i suoi standard abituali, nei prossimi sei-dodici mesi (+2/2,5%), e di
un’area euro quasi ferma (+0,5/+1%), ora penalizzata anche da uno sfavorevole effetto cambio; ma con il passare
del tempo i rischi di sorprese negative, nella parte bassa di questi range, sembrano aumentare anzichè ridursi.
Pur escludendo scenari alla giapponese, abbiamo comunque a che fare con prospettive incapaci di giustificare un
deciso rilancio dei mercati azionari, mentre potrebbero far lievitare ulteriormente quelli obbligazionari, soprattutto
nell’area corporate.
La deflazione rappresenta a nostro avviso un’ipotesi limite, nemmeno così realistica, sebbene
più concreta di quanto possa apparire un deciso riavvio dell’inflazione, frutto di un’attività economica troppo
esuberante. Per avverarsi richiederebbe anche la discesa di salari e di prezzi dei servizi, ipotesi che su mercati
come quelli europei non sembrano molto credibili, a dire il vero più per vincoli strutturali che non per una presunta
solidità di fondo; il punto però è che per far uscire nuovamente i listini azionari dai binari della loro graduale
ripresa non c’è bisogno dello spauracchio estremo della deflazione, sarebbe sufficiente anche solo lo scenario di
una crescita molto stentata.
Eppure i mercati, nonostante la cautela, sembrano animati da maggiore ottimismo, almeno dal lato
dell’azionario. Potrebbe comunque trattarsi non di un sentiment convinto, ma solo delle reazioni alla precedente
caduta, generata dai timori legati al conflitto iracheno. Anche dopo l’11 settembre, a un forte recupero iniziale
proporzionato alla precedente caduta e frutto di un ritorno alla “normalità” del premio per il rischio, era seguita una
fase di appiattimento dei listini; intrappolati in un trading range, alla fine ne sono usciti prima ripiegando, poi con
una nuova caduta.
L’anno scorso ciò accadde sui timori legati alla geopolitica e agli scandali aziendali; stavolta
potrebbero pesare i dubbi sulla congiuntura – con la psicosi deflazione a sostituire quella Iraq – e di nuovo la
geopolitica. Su questo tema, difatti, non c’è da stare troppo tranquilli: come previsto, la gestione dell’Iraq post
Saddam si sta trasformando in un’impresa assai più ardua dell’intervento militare, con uno stillicidio di caduti
americani che alla lunga potrebbe esasperare l’opinione pubblica interna, come già accadde nel caso del Libano;
i “falchi” del Pentagono, che oramai dispongono di una loro intelligence utilizzata in aperto contrasto con CIA e
Dipartimento di Stato, tornano a premere sull’Iran, accusato di aver fornito appoggio ai recenti attentatori di Riad,
facendo risalire la tensione nell’area; quanto infine alle presunte “buone notizie” sulla pace in Palestina,
l’impressione è che si tratti dell’ennesima farsa, ancor più di quella consumatasi a Camp David nell’estate del
2000.
Stavolta è in discussione il 40% della Cisgiordania, dunque meno del 10% della Palestina storica, un
territorio privo di propri confini esterni, diviso da centinaia di insediamenti abitati da quasi 200.000 israeliani e che
non verrebbero affatto smantellati, con le loro strade, le infrastrutture e i posti di blocco necessari per garantirne la
sicurezza. Se questa è la “storica proposta” che secondo i media dovrebbe essere accettata dalla popolazione
palestinese e che dovrebbe porre fine agli attentati suicidi, allora possiamo essere certi che la pace è ancora
lontana anni luce.
Quanto all’economia, l’incertezza rimane massima, poichè le indicazioni congiunturali più recenti sono
ancora inquinate dall’effetto Iraq e non consentono rilevazioni corrette. A qualsiasi indicazione deludente
viene concesso il beneficio del dubbio, un dubbio che tra un mese circa verrà però fugato dai dati relativi ad un
periodo succes sivo agli eventi iracheni. Certo è che intanto la ripresa è frenata da un petrolio incapace di
scendere come previsto e da un allarme attentati che continua a condizionare la fiducia di investitori ed operatori
economici, due dazi da pagare alla ormai onnipresente geopolitica.
A sostegno della congiuntura interverranno
ancora le Banche Centrali: a giugno la BCE dovrebbe muoversi con almeno un quarto di punto, imitata dalla FED
più avanti nel mese. La sensazione però è che per l’Europa sia ormai indispensabile almeno il mezzo punto, pena
il rischio che un taglio simbolico non solo passi ignorato, ma provochi un ulteriore collasso del dollaro se la FED si
muoverà successivamente in maniera ancor più aggressiva.
Che asset allocation? L’alternativa è tra stare alla finestra (dunque cash, con tutti i costi impliciti del
caso) e costruirsi un portafoglio bilanciato di azioni e obbligazioni con sufficiente duration, in modo da
prevenire i rischi di contraccolpi dal lato della crescita o, nel caso opposto, della deflazione. Lo scenario
ideale per questo portafoglio è che la crescita si mantenga modesta e l’inflazione scenda ancora, senza però
trasformarsi in aperta deflazione; in tal caso, l’obbligazionario avrebbe spazio per salire ulteriormente, mentre in
Borsa i comparti più difensivi, tra cui le tlc, potrebbero sfuggire alla logica del ribasso generalizzato, qualora le
prospettive di crescita si facessero più stentate.
Il dollaro appare destinato a rimanere debole, con tutti gli effetti
del caso sui portafogli globali, all’interno dei quali Wall Street dovrebbe risultate premiata rispetto ai listini
continentali. Attenzione nel breve a banche e assicurazioni, su cui potrebbe pesare la psicosi dei tassi in picchiata
su livelli mai visti negli ultimi quarant’anni, soprattutto se dalla prossima settimana si diffonderanno attese di
azioni molto decise da parte delle Banche Centrali.
*Michele Pezzinga e’ capo strategist di Eptasim.