Se l’impennata delle quotazioni del petrolio non è certo vista con favore dai consumatori dei paesi industrializzati, che mettono in preventivo una nuova raffica di aumenti tra bollette e carburante, ancora meno lo è da quelli residenti nel paesi emergenti, i cui effetti negativi sul portafoglio sono amplificati dal cambio debole rispetto al dollaro, valuta di riferimento per il greggio.
“Se da inizio anno il prezzo del Brent è aumentato del 22% in termini di dollari, il suo costo è raddoppiato se si acquista in lira turca; ha segnato un aumento del 39% in rupie indiane e del 34% in rupie indonesiana”.
Di fronte a questa emergenza, le banche centrali sono costrette ad agire. Secondo il Wall Street Journal, l’India, il terzo più grande importatore di petrolio al mondo, sta pensando di limitare temporaneamente le importazioni di petrolio, mentre Brasile e Malesia hanno introdotto sussidi per il carburante.
Nel frattempo, giovedì scorso le banche centrali dell’Indonesia e delle Filippine hanno aumentato i tassi d’interesse per contenere l’inflazione in aumento.
In Sudafrica dove i prezzi del carburante hanno aggiornato record la scorsa settimana la banca centrale ha spiegato che “è sempre più evidente l’impatto dell’aumento dei prezzi del petrolio e del tasso di cambio più debole sui costi del carburante domestico”.
Reduce dal periodo luglio-settembre il rialzo del 5,5%, il petrolio ha iniziato il nuovo trimestre in rally. Questa mattina, i prezzi sono in rialzo a 75,82 dollari per il barile Wti e a 85,23 dollari per il Brent. Ieri il contratto novembre al Nymex ha aggiunto 2,05 dollari, il 2,8%, a quota 75,30 dollari al barile. Si tratta di massimi del novembre 2014.
Il mercato si domanda se i grandi produttori saranno in grado di compensare il venire meno del greggio iraniano sul mercato, dopo che dal 4 novembre prossimo scatteranno le sanzioni Usa.