A un anno dal lancio del piano 2018-2020 l’ad Paolo Vistalli fa il punto della situazione. Un’anima sempre più private puntando su dimensioni, redditività e digitalizzazione.
A gennaio 2018, subito dopo aver festeggiato a capodanno il superamento dei 5 miliardi di euro (+212 milioni sull’anno precedente) da parte delle masse totali della propria clientela, Cassa Lombarda ha approvato il nuovo Piano programmatico 2018-2020. Nei suoi obiettivi, all’interno di un business model focalizzato sull’attività di private banking, spiccano la crescita dimensionale, anche per linee esterne, e l’aumento della redditività sia tramite costante crescita di risparmio gestito, sia mediante lo sviluppo di nuove soluzioni di investimento o partnership strategiche. A quasi un anno dal lancio del piano Wall Street Italia ha chiesto a Paolo Vistalli, amministratore delegato e direttore generale di Cassa Lombarda, come sta procedendo la sua implementazione e come vede le prospettive del settore in Italia.
Dott. Vistalli, che punto siete arrivati con lo sviluppo del Piano programmatico? Quali sono i vostri prossimi obiettivi?
“Il 2018 è stato un anno focalizzato sullo sviluppo e il rafforzamento dei prerequisiti strutturali per il conseguimento degli obiettivi economici e dimensionali del piano strategico: competenze, tecnologia, sinergie di gruppo e scouting di opportunità di crescita per linee esterne. Sul fronte competenze abbiamo investito in risorse specializzate nella gestione di progetti strategici ad alta complessità. Su quello della tecnologia abbiamo trasformato radicalmente l’architettura applicativa a supporto dei servizi di investimento, investendo in risorse esterne per aumentare significativamente la nostra capacità di innovazione e di personalizzazione della suite applicativa a supporto del private banking. Particolarmente intensa l’attività di sviluppo di sinergie di gruppo con Pkb, sia di natura commerciale che di tipo infrastrutturale e tecnologico.
Infine, il 2018 è stato caratterizzato da una ricerca sistematica di opportunità di crescita per linee esterne, che ha dato come esito un’ipotesi di partnership in stato avanzato di valutazione. I prossimi obiettivi, quelli dei restanti due anni di piano, puntano a ‘mettere a terra’ il lavoro di investimento fatto per raggiungere gli obiettivi di crescita e redditività”.
Nella vostra offerta di servizi private occupano un ruolo centrale anche quelli rivolti al cliente imprenditore. Come vi relazionate con questa tipologia di clientela?
“Siamo fortemente convinti che un approccio completo di wealth management non possa prescindere dalla copertura dei bisogni specifici del cliente imprenditore sul fronte aziendale. L’imprenditore di successo è per definizione un cliente private, e la nostra esperienza ci conferma che il livello di soddisfazione e di fidelizzazione relativa ai servizi di investimento aumenta in funzione della nostra capacità di soddisfare le sue esigenze lato corporate.
Non solo quelle legate alla concessione del credito ma anche e sempre più gli aspetti connessi al corporate advisory per l’ottimizzazione della compagine societaria, la pianificazione successoria e il passaggio generazionale, l’accesso al mercato dei capitali per favorire strategie di crescita ed espansione, l’inserimento in un network di relazioni che facilitano lo sviluppo di partnership”.
Con un business model focalizzato sull’attività di private banking avete un punto di osservazione privilegiato sull’intero settore in Italia. Che evoluzioni state osservando e quali sono le tendenze in atto?
“Dati alla mano, quello del private banking è un mercato maturo con tassi di crescita in continua decelerazione. Il perdurare di un regime di tassi bassi e l’aspettativa di un loro rialzo imminente, mercati azionari globali che si avvicinano nel loro complesso al decimo anno di crescita, e l’impatto di Mifid II sia sui costi del sistema e che sulla maggiore attenzione alle commissioni da parte dei clienti, rendono particolarmente complessa la sfida dei prossimi anni. Appare del tutto evidente che mai come oggi occorre innovare sia il modello di servizio, all’insegna dell’efficienza e della digitalizzazione dei processi, che il modello di offerta, ampliando la gamma a nuove soluzioni di investimento e fonti di rendimento, come ad esempio quello degli illiquidi, private equity e private debt in primis. Sul lato degli operatori, invece, assisteremo a un processo rapido di concentrazione e di ricerca di economie di scala che potrebbero portare ad operazioni tra strutture con moduli di business complementari”.
Ci avviamo verso la fine del primo anno di vita della Mifid 2 in Italia. Che impatto sta avendo sul settore?
“Vediamo una sequenza di impatti scaglionati in due fasi: la prima, tuttora in corso, riguarda gli aspetti di adeguamento organizzativo, tecnologico e operativo sia dei produttori (asset manager) che dei distributori (banche), con particolare riferimento agli oneri relativi alla product governance e alla cost transparency; la seconda, che vedremo a partire dal 2019, riguarderà invece l’evoluzione del modello di acquisto dei clienti, in funzione di una maggiore trasparenza e quindi consapevolezza sull’ammontare complessivo e sulla natura specifica dei costi connessi ai servizi di investimento, e a seguito dell’affermarsi sul mercato di modelli di consulenza indipendente basati su una commissione all in. Ci sono i presupposti per un’evoluzione epocale del settore dei servizi finanziari. E come in ogni evoluzione, vincerà chi sarà in grado di innovare e di crescere”.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di ottobre del mensile Wall Street Italia.