Tra la crisi della valuta turca e argentina e l’estrema volatilità dei Titoli di Stato italiani, l’ultimo periodo è stato piuttosto movimentato per i mercati. Tuttavia, finora non si sono visti segnali di un contagio che possa portare a un ciclo di avversione al rischio più diffusa.
È stata un’estate da dimenticare per qualcuno – ma non per tutti. Sebbene alcuni Paesi e mercati abbiano subito pressioni aggressive sul lato delle vendite, altri ne sono usciti relativamente incolumi. I movimenti hanno interessato aree o ambiti molto specifici e in questo senso fanno pensare più ad un ‘effetto domino’ che a una crisi sistemica, in cui tutti gli asset finiscono sotto stress.
Ciò è stato particolarmente evidente nei mercati emergenti: alcuni Paesi, come la Romania, sono rimasti piuttosto stabili, mentre altri hanno subito un rapido deterioramento, a partire dall’Argentina, per proseguire con la Turchia, il Brasile, l’Indonesia e, più di recente, la Russia e il Sudafrica.
Spesso a finire nel mirino sono stati i Paesi politicamente instabili o con un tale disavanzo delle partite correnti da preoccupare gli investitori per le difficoltà di finanziamento, specialmente in un contesto in cui i tassi USA stanno aumentando.
Gli investitori sono stati costantemente alla ricerca dei grandi “casi” di svendita e ogni mercato emergente che abbia mostrato segnali di debolezza ha subito un crollo della valuta e una forte pressione sui Titoli di Stato domestici.
Sebbene sia troppo presto per parlare della fine della volatilità – considerando i rischi associati ai dazi e ai prossimi avvenimenti politici, come le elezioni in Brasile e le mid-term statunitensi – ci potrebbero già essere alcune opportunità interessanti per gli emergenti. Potenzialmente infatti, alcuni Paesi sono stati penalizzati con valutazioni che hanno subito aggiustamenti eccessivi rispetto ai rischi associati.
Il Messico rappresenta un ottimo esempio da questo punto di vista. L’inflazione dovrebbe rallentare, ed è possibile che la banca centrale si muova verso un ciclo di taglio dei tassi il prossimo anno. Il fatto che le valutazioni siano allettanti è reso ancora più evidente dallo spread ai massimi storici tra gli Mbonos (Titoli di Stato messicani in valuta locale) e i Treasury.
Un altro Paese dai fondamentali interessanti è la Colombia, che presenta un’inflazione stabile in un momento in cui l’economia è in ripresa. Ci si aspetta che la banca centrale alzi i tassi il prossimo anno, ma riteniamo che il mercato stia prezzando troppi rialzi. Questo contribuisce alla nostra percezione che il mercato dei Titoli di Stato colombiani sia abbastanza attraente.
Passando ai mercati sviluppati, nella maggior parte dei casi si è riscontrata una volatilità decisamente inferiore rispetto ai mercati emergenti. Tuttavia, non tutti i Paesi sono stati immuni. Ad esempio, la corona svedese quest’anno ha decisamente sottoperformato rispetto alle valute delle altre economie avanzate, riflettendo la preoccupazione dei mercati riguardo alle condizioni del mercato immobiliare e alla sua possibile vulnerabilità a fronte del rallentamento della crescita globale.
Il fatto che la banca centrale svedese abbia rinviato ripetutamente il rialzo dei tassi probabilmente non è stato d’aiuto. Tuttavia, passate le elezioni di settembre, un rischio chiave è venuto meno. Si potrebbe trattare di una buona opportunità per reinvestire in una valuta la cui volatilità è stata forse eccessiva rispetto ai fondamentali.
Sul fronte obbligazionario, uno degli esempi più estremi di volatilità nei Paesi sviluppati è stato rappresentato quest’anno dall’Italia, dove i timori legati alla politica hanno innescato deflussi significativi da parte degli investitori internazionali.
Anche sui mercati obbligazionari corporate, dove i tassi di default restano ai minimi storici, sembra che gli investitori siano stati molto più selettivi e rapidi nel punire le società di fronte a qualsiasi notizia negativa. In certi casi la reazione è stata tale da prosciugare la liquidità sui mercati secondari. Ad esempio, gli spread sul credito di Bayer sono aumentati notevolmente per il timore che l’azienda farmaceutica dovesse sostenere oneri per contenzioso. In modo simile, i credit default swap su Ford si sono considerevolmente allargati dopo che Moody’s ha abbassato il rating a Baa3, il livello più basso nella fascia investment grade.
In generale, il settore europeo dell’automotive potrebbe essere vulnerabile se gli Stati Uniti imponessero ulteriori dazi sui beni provenienti dall’Europa. Questo settore potrebbe quindi essere un ottimo candidato per posizioni corte selezionate su credit default swap, in caso la liquidità dovesse improvvisamente venire meno.
Con il proseguire dell’inasprimento monetario negli USA in un momento in cui le altre principali banche centrali stanno riducendo i propri programmi di stimolo, la possibilità che l’‘effetto domino’ si trasformi in una condizione più sistematica di scarsa propensione per il rischio resta una preoccupazione fondamentale.